Cannes 2021
Il cinema va visto in sala. Pazzi film a confermarlo
Il direttore del Festival di Cannes Thierry Frémaux vuole staccarci dalle piattaforme. Per farlo sceglie "Annette", follia pop tra Hitchcock e Nietzsche. E poi l'orgoglio nero di Spike Lee, la Palma d'onore a Jodie Foster, i tormenti di Emmanuel Carrère
Orgoglio nero vince su tutto. Anche a Cannes 2021, cerimonia d’apertura. Spike Lee, presidente di giuria in completo fucsia e occhiali in tinta, ha oscurato Jodie Foster, che pure aveva accanto la moglie Alexandra Hedison. A quasi nulla è servita la Palma d’onore, corredata da commosso discorso di Pedro Almodóvar per l’attrice di “Taxi Driver” (e tutti i film venuti dopo, da attrice e da regista). Spike Lee sembrava impressionato solo dal discorso di ringraziamento in perfetto francese – la mamma non la portava giovanissima soltanto ai provini per la pubblicità del Coppertone, pensava anche alla scuola.
Li ha raggiunti sul palco Bong Joon-ho, il coreano vincitore nel 2019 con “Parasite”: tanta è la voglia di cancellare l’anno funesto senza festival di Cannes. Sala senza un posto vuoto per accogliere Leos Carax – e se vi chiedete che nome è, leggetelo come un anagramma di Alex (primo nome del regista) e Oscar (l’ambita statuetta). Non gliela daranno mai, gira film troppo pazzi. Appunto come “Annette”. Variazione sul tema eterno “ragazzo incontra ragazza” e sulla nota questione: “Se guardi a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà te”.
Hitchcock e Nietzsche mescolati non sono male come miccia. Succede però che il tema sia svolto in musica scritta dagli Sparks, bizzarro duo americano che ha corteggiato a lungo Leos Carax. Per fare “Annette” ci sono voluti sette anni, al netto della pandemia. Il ragazzo è Adam Driver, comico che sale sul palco in accappatoio, finge di strozzarsi con il filo del microfono, racconta battute quando gli va, più spesso insulta il pubblico – sempre cantando. La ragazza è Marion Cotillard, che di mestiere “muore e s’inchina” (tradotto: fa la cantante lirica). Si sposano e fanno una figlia, Annette. Un po’ strana, bisogna dire: orecchie a sventola, braccia e gambe da marionetta. Sì, in mezzo c’era una bella scena di sesso, non parrebbe neanche girata con il custode del #MeToo che misura distanze e imbarazzi – l’incredibile è veder scritto “scandalosa”, in tempi di porno.
Non c’è battuta di dialogo che non sia gorgheggiata, anche la scena del parto – respira, respira, intona il coretto composto dal dottore, le infermiere e il futuro padre. Anche l’interrogatorio di polizia, si sa che i grandi amori finiscono in grandi tragedie. Ogni scena ha un dettaglio inatteso, su uno sfondo sempre spettacolare e fantasioso. Per ribadire che il cinema va visto in sala, Thierry Frémaux non poteva scegliere film più adatto. E divertente. E folle. I classici del cinema li abbiamo ripassati durante il confinamento, vediamo di produrne altri.
Nessuno schermo, per quanto piccolo, può nuocere invece a “Between Two Worlds”, il film di Emmanuel Carrère che ha aperto la Quinzaine des Réalisateurs (sezione indipendente curata dai registi, eredità del rivoltoso 68). Le intenzioni erano lodevoli, adattare il bestseller di Florence Aubenas “Le quai de Ouistreham”: reportage sulle tremende condizioni di lavoro delle operaie che puliscono le cabine dei traghetti che attraversano la Manica. In aggiunta, la questione che sempre tormenta Carrère scrittore: fino a che punto è lecito saccheggiare le vite degli altri, per scrivere libri di successo?
Juliette Binoche ha la parte di Florence Aubenas (con un altro nome). Si finge povera e sola, in cerca di lavoro tra le disperate vere (non del tutto, anche loro sono attrici). Scopre la durezza della vita e il valore dell’amicizia, gente povera ma di cuore, c’è anche una trans con straccio e disinfettante. Il finale riporta ogni cosa al suo posto. La scrittrice firma copie a Parigi. “La migliore amica” è furiosa per l’inganno.