cannes 2021
Moretti senza Moretti. La sciatteria scambiata per sobrietà di "Tre piani"
Nanni si sposta dal centro della scena e non rimane molto. Idiosincrasie zero, profondità telefonata, una Roma insolitamente priva di traffico. Meglio "La fracture" di Catherine Corsini, tra tragedia e commedia in pronto soccorso
Cannes. Dino Risi ora può darsi pace, lui che diceva: “Nanni Moretti spostati e facci vedere il film”. Ma come si sa, le preghiere esaudite procurano più infelicità delle preghiere respinte. Moretti senza Moretti è tutt’altro che brillante, gli attori sembrano poco convinti, la profondità è telefonata (a volte neanche, ma nel senso che non è chiaro cosa deve ricavare lo spettatore da un dialogo o da una scena). Ironia e idiosincrasie zero. Il tono solenne con cui Michele Apicella discettava sui gusti del gelato accoppiabili o no è adesso nelle parole del giudice inflessibile e integerrimo – il ruolo che il regista Moretti ha riservato all’attore Moretti.
“Tre piani” era in proiezione ufficiale domenica al Festival di Cannes, in contemporanea con l’Italia in campo – molti i lamenti, tanto per attaccare briga con i francesi ogni volta che capita l’occasione. In realtà c’era una proiezione stampa, non affollatissima, alle cinque del pomeriggio. Dopo la partita vittoriosa, molti caroselli e strombazzamenti. Cannes è piena di italiani, e da parte loro i francesi non perdono occasione di sbeffeggiare gli inglesi quando capita.
Nanni Moretti si è spostato dal centro della scena, ed è rimasto ben poco. Per la prima volta al lavoro su un copione non suo, tratto dal romanzo di Eshkol Nevo che ambienta le tre storie in una palazzina fuori Tel Aviv, trasferisce la vicenda a Roma. Insolitamente priva di traffico: vediamo passare una sola macchina guidata da un giovanotto ubriaco che travolge una passante. No, non è un presagio della pandemia (il film è stato fermo l’anno scorso per mancanza del Festival; di andare alla Mostra di Venezia, giammai). E’ la sciatteria cinematografica scambiata per sobrietà e rigore. E quindi mai nessuno si pone la domanda: “ma io in questo film Margherita Buy come la vesto e la pettino?”.
“La nostra Meryl Streep che sa fare tutto”, dichiara Moretti nelle interviste (certo, ma l’americana viene vestita, pettinata, cambiata d’accento ogni volta come il personaggio esige, elegante o stracciona). Esorta gli spettatori a non richiudersi dietro le porte degli appartamenti, a parlare e a ballare – non era questo lo spirito del romanzo, tutto un multistrato di bugie, segreti, narratori inaffidabili. Addio al “farò sempre parte di una minoranza”, orgogliosamente pronunciato. Vent’anni fa qui a Cannes vinse la Palma d’oro con “La stanza del figlio”. “Tre piani” è più freddo e trattenuto. Bisogna vedere cosa pensa Spike Lee, presidente della giuria, dell’italiano più amato dai francesi. A occhio, non sembra tanto il suo genere.
All’opposto del cinema neo-morettiano, c’è “La fracture” di Catherine Corsini, finora uno dei nostri preferiti in concorso (mentre scopriamo con orrore, nella pagellina di Screen International, che il bruttissimo e sorpassato erotismo conventuale di Paul Verhoeven in “Benedetta” è piazzato in ottime posizioni, subito dopo “Annette” di Leos Carax). Si capisce che c’erano intenzioni ideologiche e di denuncia, tutto avviene in un pronto soccorso, mentre i gilet jaunes vengono caricati dalla polizia, e qualcuno di loro finisce in ospedale. Dove medici e infermiere sono costretti a turni massacranti.
Scrittura e recitazione – al massimo di quel che dovrebbe essere il cinema – incantano per un’ora e mezza. Di confusione, di lamenti, di pazienti psichiatrici sfuggiti alla sorveglianza, di chi non si vuole far curare perché lavora a cottimo e deve rimettersi a guidare il camion. Di Valeria Bruni Tedeschi, sempre bravissima, ricoverata perché ha un braccio rotto (rincorreva l’amante che la voleva lasciare). Tragedia e commedia, finalmente il cinema.