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"Yaya e Lennie", dove l'animazione si confonde con la realtà
Una Napoli post-apocalittica immersa nella giungla: quando non ci sono presenze umane all'orizzonte, bisogna ricordarsi che non è un documentario. Appuntamento a settembre, quando i coraggiosi ragazzini di Alessandro Rak saranno al cinema
Con Alessandro Rak fu amore a prima vista, guardando “L’arte della felicità”. Raro caso di film italiano che riusciva a essere napoletanissimo e internazionale: cambiava registro, che parlando di animazione vuol dire tratto grafico e colori, ogni volta che la storia lo richiedeva. Più compatto, ma altrettanto fascinoso, era “Gatta Cenerentola”, arrivato quattro anni dopo: reinvenzione della fiaba di Giambattista Basile e dell’opera teatrale di Roberto De Simone. Purtroppo agli applausi, alle molte stellette, ai premi ricevuti nel mondo non sempre si accompagnano incassi italiani all’altezza.
Al Locarno Film Festival era in anteprima mondiale “Yaya e Lennie - The Walking Liberty”, ultimo film di Alessandro Rak (come i precedenti, prodotto da MAD Entertainment). Un mondo salvato dai ragazzini, che in una Napoli post-apocalittica cercano di vivere liberi. Scappano da chi vorrebbe rapirli per portarli in una specie di Metropolis dove sono costretti a crescere sotto rigido controllo militare – di meglio i sopravvissuti non sono riusciti a mettere insieme, dopo la catastrofe che ha immerso Napoli in una foresta tropicale. Resa benissimo, nel minuscolo colibrì e nei serpenti, nella vegetazione, nella luce che filtra degli alberi. E prima ancora nelle smisurate galassie.
È un film d’animazione, non un documentario: dobbiamo ricordarlo quando non ci sono presenze umane all’orizzonte. Gli edifici distrutti e per metà sommersi fanno pensare a “Deserto d’acqua” di James Ballard. La sedicenne Yaya – per il pubblico internazionale, potrebbe essere semplicemente Iaia – e l’amico Lennie sono su una barchetta. Lui sembra più grande di lei, ma ha parole e reazioni da bambinone che nella giungla e nei pericoli non si separa mai dalla sua tazza preferita. Sono la “Libertà in marcia”, come suggerisce il titolo e come viene (troppo) spesso ripetuto. Hanno molte somiglianze con George e Lennie che cercando lavori da braccianti percorrono l’America del 1937, nel romanzo di John Steinbeck (se vi manca, e ne avete curiosità, esiste una magnifica edizione Bompiani, illustrata da Rebecca Dautremer e tradotta da Michele Mari).
Yaya e Lennie hanno varie case, disegnate e arredate nei minimi dettagli. Tutte cadenti – una ha perfino un paio di scheletri in soggiorno, poco distanti dai fornelli a induzione – e tutte pericolose, quando in giro ci sono soldati che sparano e portano via i bambini. Della vita “prima della fine del mondo”, resta un bavaglino con disegnata l’aragosta, il teschio di una zia molto amata, un cappello “pieno di pensieri”. “Cos’è l’indispensabile?” chiede Lennie a Yaya prima di affrontare un’avventura piena di sorprese. Appuntamento a settembre, quando i coraggiosi ragazzini di Alessandro Rak saranno al cinema.
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