venezia 2021
La figaggine d'Oltralpe di Charlotte Gainsbourg
Un tempo si chiamava classe, o anche chic. L'attrice francese si prende la scena sul red carpet di Venezia
Foto LaPresse
Charlotte Gainsbourg e Jane Birkin (Foto LaPresse)
Charlotte Gainsbourg e Jane Birkin (Foto LaPresse)
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Tim Roth e Charlotte Gainsbourg (Foto LaPresse)
Al quinto giorno della Mostra del Cinema di Venezia, quando già tutti iniziavano a domandarsi se non sarebbe stata una bella novità veder sfilare sui red carpet un attore con un vestito che si fosse scelto da solo e pagato con i soldi suoi, è arrivata Charlotte Gainsbourg e ci è tornato in mente perché “le francesi non ingrassano”, quel vecchio manuale della chick lit dove non si parlava mai di cibo ma delle origini storiche, e soprattutto psicologiche, dell’inarrivabile figaggine di certe ragazze d’Oltralpe. Il motivo per il quale si arriva alle sfilate di Parigi e le redattrici americane sono tutte acchittate, attente all’abbinamento, tema magico del sistema, mentre quelle francesi, con quell’arietta mal lavata e i pantaloni di pelle nera sulle gambe magre, sono chic da morire. Le francesi sono quelle che sembrano appena scese da un ring fra le lenzuola dove hanno avuto la meglio. E infatti eccola lì, Charlotte, protagonista di Sundown con Tim Roth, zero trucco, zero gioielli, capelli negli occhi, che sorride con le mani in tasca in una tutina che nemmeno una ventenne oserebbe davanti a quel nugolo di fotografi, e che lei a maggior ragione indossa a cinquanta con un paio di stivali a mezza coscia di cristalli: "Un terzo minimal, un terzo glamour e un terzo underground", come disse di lei Nicolas Ghesquière, il direttore creativo di Louis Vuitton, che infatti e spesso la veste, ma di cui vi sfidiamo a riconoscere i capi.
Quello che indossano le star vere o presunte a Venezia è scritto a chiare lettere per la loro incongruenza e per la goffaggine con cui li trascinano qui è là, mettendosi tutte in posa con la manina sul fianco e i piedi uno davanti all’altro “che allunga la figura, cara”. Ouch Olivia Coleman nonostante gli sforzi del team di Armani, beh ecco Maggie Gyllenhaal che tenta di accreditarsi come regista scegliendo un completo da segretaria Anni Quaranta, sigh Anna Taylor-Joy con quella incongrua toque sui capelli sciolti che non siamo sicuri la direttrice di Dior, Maria Grazia Chiuri, approverebbe. Quello che indossa Charlotte è roba sua, anche se magari non lo è davvero. La figaggine vincente che tutti vorrebbero è una cosa misteriosa. Un tempo si chiamava classe, o anche chic: c’entra un po’ con le letture che hai fatto, c’entra relativamente poco con la bellezza, e c’entra ancora meno con la nascita, anche se, nel caso, tua madre è Jane Birkin che faceva moda pure con un cestino di vimini e una t shirt bianca. Per ottenerla non bastano i soldi, gli stylist, i vestiti in prestito ma “fatti su misura” che tanti considerano un segno di successo, tantomeno gli abitoni con la sottogonna rigida che le star americane considerano l’abito da red carpet par excellence.
Che cosa dobbiamo dirvi? Quell’aria lì, che i francesi chiamano dégagée, ce l’ha il tiktoker Khaby Lame cresciuto nella periferia di Torino e ce l’ha Timothée Chalamet nato nella Hell’s Kitchen gentrificata dei primi Duemila, ma non ce l’ha Serena Rossi, per esempio, che è tanto brava e simpatica, eppure stronca qualunque vestito le mettano addosso. Ce l’ha Dakota Johnson che Alessandro Gucci veste di catenelle come una star televisiva Anni Settanta ed è un’apparizione e ce l’ha Toni Servillo. Lo chic è una dote innata, irriproducibile, scarsamente migliorabile. E’ il motivo per cui tutti cercano di raggiungerla accumulando inutilmente vestiti. Però, è bello che qualcuno, ogni tanto, ci ricordi che cosa c’è all’origine del sistema e del perché ci caschiamo sempre.
Politicamente corretto e panettone