Venezia 2021
Mario Martone: "Eduardo Scarpetta ci ha insegnato che la vita è un teatro"
A Venezia 78 il regista napoletano presenta Qui rido io, in cui spicca il ritratto della figura di Eduardo Scarpetta, interpretato da Toni Servillo. "Era un genio spinto da una gran voglia di riscatto sociale"
Venezia. Per tutta la vita il grande Eduardo De Filippo non volle mai parlare di suo padre (Eduardo Scarpetta) come padre, ma solo come autore teatrale. Quando suo fratello Peppino lo ritrasse spietatamente in un libro autobiografico, Eduardo gli levò il saluto per sempre. Poco prima di morire, a un amico scrittore che gli chiedeva se Scarpetta fosse stato un padre severo o cattivo, lui rispose sempre così: “Era un grande attore”.
A Venezia 78 è il giorno di Mario Martone che con “Qui rido io”, in concorso ufficiale, ripercorre la vita dell’ideale fondatore del teatro dialettale moderno. Nato a Napoli il 13 marzo del 1853, Scarpetta entrò a far parte della compagnia teatrale di Antonio Petito a soli 15 anni, preparandosi così il terreno per una carriera artistica straordinaria. Autore di commedie intramontabili come “Miseria e nobiltà” (da cui la trasposizione cinematografica di Mario Mattoli con Totò nei panni di Felice Sciosciammocca), “Nu turco napolitano e “Na Santarella”, Scarpetta esercitò la professione di commediografo dal 1875 al 1904 (anno in cui è ambientato il film di Martone), quando volutamente si ritirò dalle scene dopo una lunga causa legale contro Gabriele D'Annunzio fino alla sua assoluzione. “Durante il processo – spiega al Foglio Martone – Benedetto Croce fu dalla parte di Scarpetta, difendendo attraverso di lui il diritto alla parodia, che è sempre stata il graffio del potere da Aristofane in poi”.
Il film – una produzione Indigo Film con Rai Cinema, in uscita nelle sale italiane il 9 settembre prossimo – è l’immaginario romanzo di Scarpetta e della sua famiglia a dir poco strampalata, una vera e propria tribù avvolta dai misteri, a cominciare da quelli di lui che ne era il capostipite. “Era venuto il momento di affrontarlo”, aggiunge Martone che ha scritto, come di consueto, la sceneggiatura con la compagna Ippolita Di Majo documentandosi sul materiale sterminato a disposizione, inclusi gli atti di quel processo (prima e storica causa sul diritto d’autore in Italia), nato dopo che Scarpetta prese in prestito la parodia "La figlia di Iorio" per “Il figlio di Iorio”. “Era un genio del teatro e un patriarca amorale - aggiunge il regista di - un uomo che era spinto da una voglia incredibile di riscatto sociale, tanto da scrivere "Qui Rido Io" sulla sua splendida villa sulla collina con vista mare”. Aveva figli con moltissime donne - con la moglie Rosa, con la sorella di lei e con la nipote della moglie – e pur non riconoscendoli, li fece studiare e diventare attori della sua compagnia o geni drammaturghi come Eduardo De Filippo.
Sin dalle prime scene, Martone ci fa conoscere quell’uomo primordiale da cui tutto dipendeva, un uomo dominato da un ego inarrestabile che manifestava sulla scena come a casa, nella vita di tutti i giorni, senza una soluzione di continuità. “Scarpetta più di tutti ci ha insegnato che il teatro è un’assemblea irrinunciabile: è un’arte che aveva ed ha a che fare con la vita”. “L’ho scritto come una commedia – continua il regista di Morte di un matematico napoletano, L’amore molesto, Teatro di guerra, Noi credevamo e molti altri – con una Napoli a fare da sfondo e una musica presente in quasi tutte le scene”. Il risultato è un film che è una sorta di romanzo morale sulla paternità rinnegata di cui si fanno portatori – nella qualità di vittime o di carnefici – gli stessi personaggi che sono tanti e bravi: da Maria Nazionale a Cristiana Dell'Anna, da Antonia Truppo a Eduardo Scarpetta, Roberto De Francesco, Lino Musella, Paolo Pierobon, da Gianfelice Imparato a Iaia Forte fino a Toni Servillo nei panni di quel “capotribù divoratore di vita”, come l’ha definito il regista.
“L’ho immaginato come un animale che bracca le sue prede nel territorio di caccia, siano esse le donne, i testi, il teatro o le innumerevoli tournée. Tutto è divorato da Eduardo Scarpetta in uno scambio continuo tra vita e palcoscenico”. Mischia di continuo le quinte del palcoscenico con le tende del salotto, fino a confonderci, facendoci chiedere dove sia il vero e dove ciò che non lo è, ma poco importa, perché siamo di fronte a uno straordinario affresco che ci dimostra di quanta vita sia fatto il teatro e quanto teatro ci sia nella vita.