L'intervista
"Quanto è stato difficile essere Ornella Vanoni. Ma oggi è un'altra storia"
La diva delle dive a Venezia per presentare il suo film diretto da Elisa Fuksas: "Con lei non ho recitato, sono stata io e basta. Ormai mi conosco a memoria (e infatti non dimentico niente)"
Arriva, osserva, dice qualcosa che solo in pochi riescono a capire, alza la voce, canta un motivetto, saluta, dice di nuovo qualcosa, si sposta di sedia perché c’è troppo vento e nel frattempo posa per i fotografi, “ma mi raccomando: mai foto da vicino”. Il giorno prima della chiusura della 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica c’è anche lei, la diva delle dive, un’Ornella Vanoni più in forma che si muove con nonchalance sulle sue sneakers bianche come la camicia che domina su una grande gonna blu. “Fozaaaa con le domande!”, grida lei, per poi calmarsi subito dopo. Immediata e necessaria, pertanto, la prima domanda: “Quanto è difficile essere Ornella Vanoni?”.
Dopo averci scrutato un altro po’, ci risponde quasi seccata (ma vogliamo illuderci che non sia così): “È stato difficile, ma oggi è facilissimo, convivo con me stessa piuttosto bene, mi conosco a memoria. Sono rinata tante volte. Dopo le mie grandi e gravissime depressioni, però, sono nate sempre nuove idee per fare uno spettacolo o un nuovo disco. Il mio principale difetto? Che non dimentico niente. Una mia amica un giorno mi ha detto: ecco perché sei sempre così stanca, perché ti ricordi tutto! È proprio così: mi ricordo gioie e dolori. La memoria è importante e fin quando c’è, sono felice”.
Al suo arrivo, il Lido oggi si è fermato per qualche ora, tutti incuriositi da “Ornella” che è qui per presentare “Senza Fine”, il film con cui la regista romana Elisa Fuksas è andata a confrontarsi con il suo mito. In sala, per loro tanti applausi per loro e una lunga standing ovation per la grande cantante, 86 anni di talento, passione e ironia che è riuscita a portare tutti nel film, girato all’inizio dell’estate in una beauty farm alle Terme di Castrocaro. “L’idea”, ha spiegato poi al Foglio la regista (che lo ha scritto con Monica Rametta), “è venuta a un amico comune, il produttore Malcom Pagani, ma il mio non pretende affatto di essere un film definitivo su di lei, come potrebbe? È solo il frutto del nostro incontro sgangherato proprio come lo siamo noi. All’inizio avevo un’idea, ma dopo tre ore con lei l’ho cambiata. È nato facendolo e tutto grazie a Ornella che è una forza della natura, è come se avesse 24 anni”.
“Il talento senza coraggio non serve – aggiunge la Vanoni, che sta girando “8 donne e un mistero”, riprendendosi così la scena – ed è per questo che lei è riuscita a chiedermi e a farmi fare cose inaudite”.
Un esempio sono le scene girate in piscina dell’hotel in cui viene immaginata come una sirena, nella sua prima volta da attrice, anche se nei panni di sé stessa. “Con Elisa non ho recitato, sono stata io e basta. In alcuni momenti ho pensato di morire, come girare appunto in piscina dopo cena. Ma siamo matti? Poi è riuscita a convincermi, perché è più matta di me. Però diciamolo pure: mi sono stancata molto e sono stata molto generosa”. Nel film - presentato come evento speciale alle Giornate degli Autori e prodotto da Tenderstories, Wildside e Indiana - appaiono alcuni amici della grande artista, da Paolo Fresu a Samuele Bersani e Vinicio Capossela. Il filo conduttore, ovviamente, son le canzoni. “Non posso sceglierne una sola, perché dovrei? Cambiano ogni volta che le canti, a seconda del tuo umore”. Nel film confessa di non capire come mai uno dei brani più amati del suo repertorio sia L’Appuntamento, “una canzone così triste. Probabilmente la frase iniziale - ho sbagliato tante volte - fa sì che ci si identifichino tutti, compresi i bambini di 10 anni”. A lei è capitato di sbagliare, racconta, quando Toni Renis insisteva per farle cantare Grande grande grande. “Non mi convinceva, lui insisteva, vedrai, diceva, sarà un successo. E, infatti, l’ha cantata Mina ed è andata proprio così”.
Come vede l’Italia? – le chiediamo. “Il nostro Paese che io chiamo Patria ha i più bei beni culturali del mondo, è inutile che stia qui a ricordarlo. Il problema, però, è come è condotto e come si comportano gli italiani. Sono tutti antifrancesi, ma almeno loro hanno fatto la rivoluzione, noi cosa abbiamo fatto? Siamo solo dei sederi molli”. “Il Green Pass come il vaccino – aggiunge la diva che qui al Lido ha ricevuto il premio alla carriera, il Soundtrack Stars Award, giunto alla nona edizione (tra i premiati, anche Gabriele Mainetti e Michele Braga per “Freaks out”) – devono essere obbligatori, come lo fu la poliomelite. Non capisco i no-vax e neanche le posizioni del mio amico Cacciari. Che libertà può esserci in qualcuno che dice: meglio morire di Covid che di vaccino?”. “Durante la pandemia ho pensato di morire, ma anche grazie al vaccino, eccomi qua”.
Politicamente corretto e panettone