L'intervista
“Ci sono tante spie donne bravissime. Ma James Bond è un uomo”. E non è woke
Matthew Fleming, pronipote dell’inventore della spia di Sua Maestà, ci dice che serve un’evasione dal politicamente corretto. “Tutti i suoi film pongono delle domande che la gente spesso non ha il coraggio di rivolgere”
Ogni uomo sogna di essere James Bond, ma forse Matthew Fleming ne ha più diritto degli altri. È il pronipote di Ian Fleming, il creatore dell’agente segreto più famoso della storia, ha frequentato le sue stesse scuole, poi l’esercito, e ora è a capo dell’azienda di famiglia, Stonehage Fleming, che gestisce grandi patrimoni. Alla vigilia dell’uscita dell’ultimo capitolo della saga, “No Time to Die”, lo abbiamo incontrato nel suo ufficio a Trafalgar Square, dove si sente in sottofondo il ticchettio di un orologio a pendolo, l’atmosfera perfetta di un romanzo di Fleming.
Lei si rivede in James Bond? “Quando finisco di guardare un film di 007 – risponde Matthew Fleming – mi sento come quando finisco ‘Top Gun’: inadeguato. Ovviamente una parte di me desidera essere James Bond. È precisamente lo scopo di questi film, ti portano in luoghi di fantasia. Ma per fortuna ho il buon senso per capire che ci sono poche cose della vita di James Bond che potrei o che vorrei fare. In confronto, sono un codardo”. Eppure anche lui, come Ian Fleming e i suoi tre fratelli, ha fatto parte dell’esercito, ed è stato in Irlanda del nord, a Hong Kong e in Germania. “Ma quando sei nell’esercito fai parte di una squadra, e condividi la tua quotidianità con gli altri soldati. A differenza mia, James Bond è un lupo solitario, come ne esistono tanti. Non so se questa caratteristica appartenesse anche a Ian Fleming, non ho mai fatto questa domanda ai miei parenti che lo hanno conosciuto”.
Matthew non ha mai conosciuto il fratello di suo nonno – quando lo scrittore morì nel 1964, a soli 56 anni, lui aveva un anno – ma la famiglia continua a beneficiare dalla fama dei suoi romanzi. Nonostante i film non siano più tratti dai libri dello scrittore inglese, i Fleming hanno un accordo riservato con i produttori, Barbara Broccoli e Michael Wilson, e vengono “tenuti in grande considerazione” e informati in anticipo quando cambia l’interprete di Bond o esce una nuova sceneggiatura. Matthew Fleming è un grande fan di Daniel Craig – “il miglior Bond di sempre”, e “protagonista del mio film preferito della saga, ‘Casino Royale’” – che secondo lui ha rappresentato alla perfezione il personaggio descritto dal suo prozio. “Il protagonista dei libri di Ian Fleming è più oscuro rispetto a come è stato ritratto nei primi film. Penso che Daniel Craig abbia mantenuto lo humour, la britishness e l’impertinenza di Bond, dandogli una durezza, un elemento quasi sinistro, che lo ha reso più vicino al personaggio dei libri”. “‘No Time to Die’ (che sarà l’ultima interpretazione di Craig nel ruolo di James Bond, ndr) è una degna conclusione per questo grande attore. La trama e la sceneggiatura sono eccellenti, e la sua interpretazione è magistrale”.
Le trame dei libri di Fleming sono state oscurate dai gadget, gli alberghi di lusso e dalle Bond girl al cinema. Così abbiamo perso di vista il significato politico dei romanzi: il declino della Gran Bretagna post imperiale, la nuova sottomissione agli Stati Uniti, l’allora nascente rivalità con l’Unione sovietica. Questa dimensione politica è stata smarrita nei film più recenti, che non nascono dalla penna di Fleming? “Tutti i film di Bond pongono delle domande che la gente spesso non ha il coraggio di rivolgere. Sono sempre film politici, ma lo sono in modo globale, non provinciale. ‘No Time to Die’ ha seguito questa tradizione, ed è stato incredibilmente preveggente. Non voglio rovinare la trama a nessuno, quindi mi limito a dire che i riferimenti al virus nel film precedono il Covid, eppure si sono dimostrati molto attuali. Se vedi la vita in modo pessimista vedrai nel film la conferma che il Covid è stato creato in laboratorio”.
Ufficialmente Matthew Fleming non ha alcuna voce in capitolo nella scelta degli interpreti di Bond. “Queste decisioni spettano ai produttori”, ribadisce varie volte. Eppure, essendo lui uno degli ultimi custodi della memoria di Ian Fleming, le sue parole un peso ce l’hanno. Quando gli chiediamo un parere sull’ipotesi di avere un Bond nero, asiatico o donna inizialmente ci risponde che non “vuole mettersi nei guai”, vista la sensibilità su questi argomenti e il rischio perenne di essere cancellati. Ma poi si lascia andare. “Ci sono tante bravissime spie donne. Ma il protagonista dei libri di Ian Fleming è un uomo. Si chiama James Bond – scandisce il nome – È stato scritto per un uomo, e deve essere interpretato da un uomo”. E che ne pensa di un Bond nero? “Per Ian Fleming, James Bond era un uomo bianco. Ma se Fleming avesse assistito al successo globale dei film, allora riconoscerebbe che per continuare a rivolgersi a un pubblico globale potrebbe esserci una ragione logica per avere un attore che non sia bianco. Personalmente preferirei che l’interprete di Bond continuasse a essere come il personaggio descritto da Ian. Sono fedele ai suoi libri, piuttosto che ai film. Però se mi metto nei panni dei produttori riconosco che il ruolo potrebbe essere interpretato bene da un attore di una diversa etnia (…) Per ora queste scelte spettano ai Broccoli però spesso mi domando: chi controllerà la narrazione sui film di James Bond quando non ci saranno più Barbara e Michael? Magari qualcuno si sveglierà un giorno e dirà: dobbiamo rigirare tutti i film di 007”.
Nonostante resti un personaggio novecentesco, Bond si è adeguato molto allo spirito dei tempi: il femminismo, il politicamente corretto, il multiculturalismo. Questo è il segreto del suo successo? “Bond si è evoluto in molti modi, a partire dall’abbigliamento. I vestiti sono più contemporanei, e non indossa più solamente abiti immacolati da gentleman. Inoltre, Bond ha delle buone maniere. Nell’ultimo film, quando si sente tradito e deluso, apre comunque la portiera alla sua partner. Ma nonostante il personaggio si sia evoluto, non ha perso lo spirito a cui lo associamo, che non c’entra niente con il politicamente corretto. Possiamo vivere la nostra vita seguendo i dettami del politicamente corretto, ma a un certo punto abbiamo bisogno di evadere. E James Bond è esattamente questo. Sarà difficile trasformarlo in un simbolo woke restando fedeli allo spirito originario del personaggio. Le racconto un aneddoto. Dieci anni fa sono stato a una mostra di James Bond, e l’oggetto che ha avuto più successo è stato il bikini indossato da Ursula Andress (nel film ‘Licenza di Uccidere’, ndr). Sotto sotto la gente ancora pensa a emulare la Andress che esce dall’acqua in bikini; è proprio questo ciò che affascina di 007. Negli ultimi film ci sono ancora delle scene che rimandano al ruolo tradizionale delle donne, ma la funzione dei personaggi femminili è cambiata molto: sono più potenti, decise e centrali nella trama del film. Questo cambiamento si vede chiaramente in ‘No Time to Die’. I personaggi femminili non hanno più un ruolo marginale o decorativo, e infatti molte più donne guardano i film di 007 rispetto al passato. Le mie tre figlie sono delle grandi appassionate”.
Nell’ufficio ci sono quattro ritratti dei fratelli Fleming uno accanto all’altro: Peter, Ian, Richard, Michael (il nonno di Matthew morto nella Seconda guerra mondiale, ndr), che hanno tutti combattuto al fronte, con l’eccezione di Ian che all’epoca della guerra lavorava per l’intelligence navale. “Il personaggio di James Bond nasce da molte fonti. Alcune caratteristiche derivano dalle persone che Ian ha incontrato nel suo lavoro, altre dalla sua immaginazione. Lui ha cercato ispirazione in molti luoghi, ma l’ha trovata a casa, nella persona di suo fratello Peter che è stato un uomo straordinario. Nelle valli scozzesi, in un luogo conosciuto solo dai parenti più stretti, c’è un plinto con iscritto: Peter Fleming, soldato, scrittore ed esploratore. Molte delle caratteristiche di Peter, allo stesso tempo un soldato e un avventuriero, si rivedono nel personaggio di James Bond”.
Non è facile inquadrare Ian Fleming, un figlio dell’upper class inglese che ha vissuto molte vite e attraversato tanti fallimenti prima di diventare lo scrittore di successo che viene ricordato oggi. Era un “uomo complesso”, spiega Matthew, e viene ricordato con troppa indulgenza dai suoi cari perché “la famiglia è la famiglia, e lui è il fratello di mio nonno, quindi doveva essere per forza una brava persona”. Matthew ci racconta un aneddoto che secondo lui fa capire bene il suo carattere. “Era un uomo incredibilmente generoso, e ha destinato una parte delle royalty del suo primo film ai suoi nipoti. Mio padre comprò una cosa da adulto, un telescopio per la caccia che conservo tutt’ora. Il fratello più piccolo organizzò una vacanza sfrenata e incredibile. Quando mandò la lettera di ringraziamento a Ian gli disse di avere usato i soldi in modo responsabile, perché si vergognava a raccontargli la verità. Ian gli rispose deluso: ‘Avrei preferito che tu spendessi i soldi per divertirti’. Questo era Ian. Voleva che la gente fosse felice, e che si godesse la vita”.
I film su James Bond lo hanno reso immortale – anche se lui non ha vissuto abbastanza per godersi il successo – ma “hanno sminuito la qualità dei suoi romanzi, che sono belli come i film. Ian Fleming è stato uno scrittore straordinario, basti pensare che ha avuto l’immaginazione per creare James Bond e Chitty Chitty Bang Bang (un racconto fantastico poi trasformato in film cult, ndr) lavorando allo stesso tempo come spia per l’intelligence navale”. “Consiglio a tutti gli appassionati di James Bond di leggere i libri di Ian, perché lui verrà giudicato come scrittore. Noi siamo fieri di lui come romanziere così come gli altri lo sono di James Bond come personaggio cinematografico. Siamo ovviamente contenti dei film, che sono la rappresentazione dei Broccoli di 007. Ma i libri di mio zio restano la chiave per capire il personaggio”.