l'intervista
"Che oppressione, questo politically correct". Parla Tim Burton
"Non vorrei mai essere un comico in questo momento, perché non puoi fare e non puoi dire nulla senza ritrovarti nei guai". L'esaurimento nervoso dopo Dumbo, la fuga da Hollywood. Il regista americano arriva a Roma e si concede al Foglio
Tim Burton: "Che oppressione questo politicamente corretto"
“Non vorrei mai essere un comico in questo momento, perché non puoi fare e non puoi dire nulla senza ritrovarti nei guai. È davvero un peccato per ogni artista, è davvero fastidiosa e opprimente questa situazione del politically correct. C’è chi se ne preoccupa, ma di certo quello non sono io. Non ho mai fatto caso a quello che dico, quindi non mi interessa nulla”. Tim Burton - 63 anni di cui più di 30 passati dietro la macchina da presa - arriva nel giorno conclusivo della 16esma Festa del Cinema di Roma per ritirare il Premio alla Carriera e tutto si ferma, dagli ingressi al red carpet fino ad una sala con il pubblico, stracolma. Tutti pazzi per Tim Burton senza distinzioni di età, sesso, razza o credo: il regista americano originario di Burbank, California, unisce tutti, almeno qui a Roma, in una sorta di quello che lui definisce “un club ideale per quegli eterni ragazzi che amano i falliti, la libertà, i marziani, le donne che ti seguono con una valigia in mano, i reietti e gli esclusi”. “Oggi ho paura ad essere qui – spiega al Foglio - ho paura di stare in mezzo a tutta questa gente e di rispondere alle domande”, ironizza, ma non più di tanto, proprio lui che con i suoi film ha dimostrato di non aver avuto mai paura di nulla, e semmai la paura l'ha trasformata nella protagonista delle sue storia e ce l'ha resa più accettabile, a cominciare da quella più grande: quella per la morte.
Burton: "Non vorrei mai essere un comico in questo momento"
“Non ho paura – aggiunge – di fare quello che mi indicava la mia passione. Non ho mai avuto paura di perseguire i miei obiettivi che sono diventati progetti, non ho paura di un eventuale fallimento. Serve sempre avere una grande sicurezza di sé per realizzare un progetto. Io li ho fatti e la cosa straordinaria è che mi hanno fatti fare. Forse è perché non li hanno capiti”, scherza. “Amo scrivere che è un po’ come recitare: solo così si può realizzare qualcosa di davvero speciale. Dopo il Dumbo fatto per la Disney, non ho fatto però più film, perché sono rimasto sconvolto da quell’esperienza, ho avuto una sorta di esaurimento nervoso, ero diventato io stesso Dumbo (stupido in inglese, ndr), ma sto ovviamente continuando a pensare e a lavorare preparando una serie tv basata sul personaggio di Mercoledì della Famiglia Addams”.
Hollywood? "È sempre più maniacale in merito all’inclusione, ma io, per fortuna, posso dire di essermene occupato prima del tempo e di continuare a farlo. Su tutte le eventuali polemiche legate a quella città, non dirò nulla però, visto che per fortuna non abito più lì da tantissimi anni”. Tra i personaggi da lui ‘creati’, i suoi preferiti sono Edward Mani di Forbice ed Ed Wood, “sono quelli a me più vicini, anche se a me non piace vestirmi da donna come Ed, ci dice, sono quelli che mi assomigliano di più. Sono sempre stato diverso dagli altri, fuori dagli schemi e ho creato personaggi diversi, capaci di incuriosirmi. Ho sempre amato le fiabe che permettono di esplorare veri sentimenti aumentandone l’intensità”.
Burton ha mosso i suoi passi verso il grande schermo sin da piccolo, intuendo che fosse quella sua strada studiando, leggendo libri e guardando film che sono stati poi fondamentali per la sua carriera. Ad influenzarlo sono stati i personaggi di Godzilla, del mostro Frankenstein e dalla figura di Edgar Allan Poe. Dalla poesia Il corvo, ad esempio, sviluppò il soggetto che sarà alla base del cortometraggio Vincent. “È il mio preferito, spiega, perché dura cinque minuti, non riesco a prestare attenzione”. C’è stato poi ovviamente l’onirismo di Federico Fellini e l’horror gotico di Mario Bava di cui ama La maschera del demonio. “Guardare i loro film – spiega – mi provoca ancora oggi uno stato di sogno e nonostante siano diversi tra loro, mi danno entrambi una condizione onirica molto viva”.
Sognare? Fa parte della mia mia vita, i sogni li ho sempre, non bisogna mai smettere di farlo. Sono fortunato, perché con questo mestiere si può continuare a sognare ad occhi aperti. In qualunque campo e importante essere creativi: aiuta lo spirito umano, perché consente di realizzare qualcosa per se stessi”. Richiede creatività e non solo anche ai suoi attori sul set. “Mi piace lavorare con persone che non hanno timore a spingersi oltre i limiti”, precisa, “mi viene in mente ad esempio Michelle Pfeiffer che in Batman faceva qualunque cosa, saltava, correva, ingoiò anche un topo”. “Quando scrivo un soggetto e una sceneggiatura, mi piace guardare fuori dalla finestra e scoprire cose diverse”, conclude. “Ho sempre fatto così e non me ne pentirò. Non ho rimpianti né pentimenti per ciò che ho fatto o che avrei potuto fare, almeno per ora”.