La Napoli post-apocalittica di Alessandro Rak
Dal 4 al 7 novembre al cinema c'è “Yaya e Lennie –The Walking Liberty” il nuovo film di animazione del fumettista e regista napoletano
Con Alessandro Rak fu amore a prima vista, guardando “L’arte della felicità”. Raro caso di film italiano che riusciva a essere napoletanissimo e internazionale: cambiava registro, che parlando di animazione vuol dire tratto grafico e colori, ogni volta che la storia lo richiedeva. Più compatto, ma altrettanto fascinoso, era “Gatta Cenerentola”, arrivato quattro anni dopo: reinvenzione della fiaba di Giambattista Basile e dell’opera teatrale di Roberto De Simone. Purtroppo agli applausi, alle molte stellette, ai premi ricevuti nel mondo non sempre si accompagnano incassi italiani all’altezza.
“Yaya e Lennie –The Walking Liberty”, ultimo film di Alessandro Rak (come i precedenti, prodotto da MAD Entertainment) esce al cinema come evento speciale, dal 4 al 7 novembre. Un mondo salvato dai ragazzini, che in una Napoli post-apocalittica cercano di vivere liberi. Scappano da chi vorrebbe rapirli per portarli in una specie di Metropolis dove sono costretti a crescere sotto rigido controllo militare – di meglio i sopravvissuti non sono riusciti a mettere insieme, dopo la catastrofe che ha immerso Napoli in una foresta tropicale. Resa benissimo, nel minuscolo colibrì e nei serpenti, nella vegetazione, nella luce che filtra degli alberi. E prima ancora nelle smisurate galassie.
È un film d’animazione, non un documentario: dobbiamo ricordarlo quando non ci sono presenze umane all’orizzonte. Gli edifici distrutti e per metà sommersi fanno pensare a “Deserto d’acqua” di James Ballard. La sedicenne Yaya – per il pubblico internazionale, potrebbe essere semplicemente Iaia – e l’amico Lennie sono su una barchetta. Lui sembra più grande di lei, ma ha parole e reazioni da bambinone che nella giungla e nei pericoli non si separa mai dalla la sua tazza preferita. Sono la “Libertà in marcia”, come suggerisce il titolo e come viene (troppo) spesso ripetuto. Hanno molte somiglianze con George e Lennie che cercando lavori da braccianti percorrono l’America del 1937 in "Uomini e topi", il romanzo di John Steinbeck (se vi manca, e ne avete curiosità, esiste una magnifica edizione Bompiani, illustrata da Rebecca Dautremer e tradotta da Michele Mari).
Yaya e Lennie hanno varie case, disegnate e arredate nei minimi dettagli. Tutte cadenti – una ha perfino un paio di scheletri in soggiorno, poco distanti dai fornelli a induzione – e tutte pericolose, quando in giro ci sono soldati che sparano e portano via i bambini. Della vita “prima della fine del mondo”, resta un bavaglino con disegnata l’aragosta, il teschio di una zia molto amata, un cappello “pieno di pensieri”, e grandi domande. “Cos’è l’indispensabile?” chiede Lennie a Yaya prima di dover lasciare tutto.