l'intervista

Sorrentino: "Ma quale terzo mondo? Napoli se l'è sempre cavata benissimo"

Con "È stata la mano di Dio" il regista napoletano rappresenterà l'Italia agli Oscar. "L'unico momento in cui mi sento a mio agio è quel tempo tra quando dico ‘azione' e quando dico ‘stop'”

Giuseppe Fantasia

Il quotidiano francese Figaro definisce il capoluogo campano "Terzo mondo d'Europa". Il regista premio Oscar per "La grande bellezza" presenta la sua ultima pellicola nella città dov'è nato e cresciuto. "Solo qui questo film può essere compreso in ogni sua sfumatura"

“È una città fatiscente, è il terzo mondo d’Europa, una terra soffocata dai debiti. Mentre tutte le città d’Europa si trasformano, Napoli resta arroccata ai suoi cliché, che sono anche il suo fascino”. Il quotidiano francese Le Figaro dipinge così Napoli, protagonista assoluta di È stata la mano di Dio, il nuovo film con cui Paolo Sorrentino, dopo la presentazione all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, premi e altri festival, rappresenterà l’Italia nella corsa agli Oscar. Il regista napoletano, che lo ha già vinto sette anni fa con La grande bellezza, preferisce glissare sull’argomento mettendo però a suo modo le cose in chiaro. “Per Napoli – dice al Foglio – non spero niente, ma da come sono andate e da come vanno le cose, posso solo dire che se la cava benissimo da tanto tempo”.

“Non è facile per questa città diventare altro da quello che è. Tutto quello che viene da fuori – aggiunge - riesce sempre a trasformarlo. Resta comunque un luogo talmente sorprendente che apre la stura a qualsiasi cosa”.

   

Mentre ci parla, siamo travolti dalla bellezza di questo posto grazie a una vista mozzafiato su Castel dell’Ovo e sull’intero golfo, blu come il cielo. “Anni fa – continua – stavamo girando la scena in una decappottabile con cinque persone dentro. Uno scugnizzo mi chiese il titolo del film - L’uomo in più dissi io - e lui: “Nel senso che state stretti? Ecco, questa è l’anima di una città contraddittoria e complessa come questa che nel mio film più che mai ho avuto il bisogno di raccontare, affrontandola per come la conoscevo e la frequentavo, da casa mia alla mia scuola fino ai tanti e differenti luoghi scoperti crescendo. Un ricordo che si basa sugli eventi che mi sono capitati”. A cominciare dalla morte dei suoi genitori, scomparsi entrambi la stessa notte dopo una fuga di monossido di carbonio nella casa di villeggiatura a Roccaraso. Lui si salvò perché rimase a Napoli a vedere Maradona in tv, un mito per lei che in un certo senso gli salvò la vita.

 

Sorrentino che si definisce “un pauroso”, è l’esatto contrario nei suoi film. Lo è stato anche in questo in cui parla di quella perdita “per condividere la sofferenza a metà”. “Capita a volte di provare l’esigenza di registrare i ricordi, ma con il passare del tempo - dice - ho pensato che sarebbe stata una buona idea farne un film, perché avrebbe potuto aiutarmi non tanto a risolvere i problemi che ho avuto nella vita, quanto a osservarli da una posizione molto più vicina e a conoscerli meglio. Tutti i miei film sono nati da sentimenti che mi appassionavano, ma dopo averli realizzati quella passione è svanita; così ho pensato che se avessi fatto un film sui miei problemi, forse sarei anche riuscito a dimenticarli almeno in parte, a farli diventare più affrontabili. L’unico problema adesso è che alla fine delle proiezioni mi tocca ascoltare i racconti di persone a me sconosciute che hanno subìto lutti simili, ma fa parte del gioco”.

   

Un viaggio nel dolore, il suo, che in questi mesi “si è però trasformato, lenito e ammorbidito”, precisa, un qualcosa “che sta diventando un racconto quotidiano e noioso”. “Non è un male annoiarsi dei propri dolori. Non li racconto più a me stesso, ma agli altri. Annoiarsi è una bella scorciatoia per non occuparsi delle proprie pene”.  Il film - in uscita nelle sale il 24 novembre prossimo per Lucky Red e il 15 dicembre su Netflix – “è piaciuto a molti, dice, perché parla in maniera semplice e diretta di sentimenti che appartengono a tutti. All’estero faticano a credere che la famiglia allargata che mostro nella scena ad Agerola sia reale, ma invece la mia era proprio così”.

  

Il tributo è tutto per Troisi, “unico nume tutelare” e napoletano doc come lui, omaggiato nel film “che finisce come se fosse uno suo”. “Un film, dice, che contiene un idea di futuro e che invita a non rinunciare mai alla propria. Uno può non vederlo, ma in realtà c’è sempre anche se a diciassette anni (l’età del protagonista, Filippo Scotti, ndr), non si vede”. 

“Il cinema – ribadisce – è stata per me una forma di salvezza. Facendolo, ho capito cosa mi piaceva e cosa no. L’unico momento in cui mi sento a mio agio è quel tempo tra quando dico ‘azione’ e quando dico ‘stop’”. Per la prima napoletana al cinema Metropolitan dice di sentirsi emozionato come al suo matrimonio, “perché questa è la mia città” e perché qui È stata la mano di Dio “viene compreso in ogni sfumatura”. Poi, da oggi, di nuovo in pista per la corsa al premio più ambito. “Vediamo - fa lui scaramanticamente - si vive alla giornata”. Una regola non scritta che in tanti, da queste parti, sono maestri nel rispettare.

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