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"Miracolo a Milano", ovvero i poveri disturbano. Il film di De Sica rivisitato in un libro
Lo ha scritto Gianni Biondillo, autore, architetto e spettatore appassionato. Nel libro ci sono foto di cascine, e vediamo pentole a bollire su cucine all’aperto, il tubo della stufa finisce nel nulla. Le baraccopoli alla periferia di Milano le aveva ricostruite Guido Fiorini, amico di Le Corbusier, uno che i poveri forse non li aveva mai visti
I poveri disturbano. Questo doveva essere il titolo del film universalmente conosciuto come “Miracolo a Milano”, regia di Vittorio De Sica. Se non andate al cinema, se ci andate ma guai ai film in bianco e nero, se ci andate ma non amate il neorealismo (non è grave, si sopravvive anche non amando Federico Fellini, solo bisogna sopportare qualche sopracciglio alzato), almeno avrete in mente i poveri a cavallo delle scope. Prendono il volo da Piazza del Duomo verso “un regno dove buongiorno vuol dire davvero buongiorno” (calligrafia infantile in sovrimpressione, come resistere?). Citati, imitati, e serviti a Steven Spielberg da ispirazione per la biciclettina che vola con E. T. nel cestino.
Gianni Biondillo – scrittore, architetto e spettatore appassionato di “Miracolo a Milano”, visto l’ultima volta grazie al “cinemobile” della Cineteca milanese proprio nei luoghi dove era stata girato – ha dedicato al film un libro illustratissimo. Pubblicato nella collana Tracce, voluta dalla società di sviluppo immobiliare EuroMilano, sarà anche in formato elettronico, consultabile attraverso il Sistema bibliotecario milanese (esistono ancora le biblioteche, e a Milano anche le cineteche svolgono un ottimo lavoro, mentre la multisala Odeon verrà presto ridotta della metà, per far posto ad altri spacciatori di calze, mutande, felpe).
Neorealismo con effetti speciali, che aumentarono il budget. Il cambiamento di titolo fece pensare nell’Italia democristiana a un film religioso, e gli spettatori esitarono: non ebbe il successo commerciale di “Ladri di biciclette”, lamentò Vittorio De Sica che con i poveri sperava di aver fatto centro un’altra volta. Ritenterà l’anno dopo con “Umberto D.”. La casa del pensionato Umberto (e cagnolino) era stata costruita in tutta la sua miserevolezza dallo scenografo, e anche il villaggio dei poveri alla periferia di Milano fu costruito per l’occasione.
Non che non esistessero baraccopoli, alla periferia cittadina negli anni 50. Nel libro ci sono foto di cascine, e vediamo pentole a bollire su cucine all’aperto, il tubo della stufa finisce nel nulla. Ma il cinema è l’arte dell’inganno. Il “villaggio Brambi” – dal nome del proprietario del terreno dove si troverà il petrolio, e i poveri saranno sloggiati – fu costruito da Guido Fiorini, che nel 1951 vinse il Nastro d’argento per la scenografia.
Non l’ultimo arrivato: da architetto aveva esposto a Parigi, era amico di Le Corbusier, aveva aderito al Futurismo. Insomma, uno che i poveri forse non li aveva mai visti. Disegna il villaggio di baracche e lamiere come se stesse costruendo un’anti-città, da smontare finite le riprese del film. Suggerisce Gianni Biondillo: “una delle città invisibili di Italo Calvino”.