Screenshot da una clip del film Illusioni perdute (2021) Utente:RedDead720 - https://www.youtube.com/watch?v=bj6RYcihoOY 

Illusioni Perdute, il nuovo lavoro di Xavier Giannoli

Mattia Giusto Zanon

Un giovane poeta di provincia si reca a Parigi senza un soldo. Trova un mondo cinico dove tutto – e tutti – possono essere comprati e venduti. Il romanzo di Balzac diventa un film

Il viso dolce e ingenuo di Lucien, giovane poeta di provincia che sogna la gloria artistica mentre si reca a Parigi senza un soldo, muta nel corso del film. Scena dopo scena non è più tanto candido e ingenuo, i suoi tratti si fanno più affilati, il suo sguardo più spregiudicato. Quando lascia la “provincialissima” Angoulême è affamato e, umiliato dopo una delusione amorosa, cerca vendetta riciclandosi come giornalista nella Ville Lumiere – l’affitto bisognerà pur pagarlo in qualche modo – autore soprattutto di articoli controversi, dato che con quelli si guadagna di più. Nella Parigi tanto ambita, trova un mondo cinico dove tutto – e tutti – possono essere comprati e venduti.

In una scena emblematica, Lucien va a presentarsi al direttore di un giornale, che gli chiede, perché vuoi fare il giornalista? Cosa credi che facciamo qui? "Informate le persone sull’arte, e beh, sul mondo" e quello parte a sghignazzargli in faccia, salvo poi puntualizzare al ragazzetto, con la massima schiettezza del mondo: "il mio lavoro è favorire gli azionisti del giornale". E qui è interessante la reazione del ragazzo, che invece di offendersi, mostra un’espressione stupita sì, ma accondiscendente, quasi qualcuno lo avesse finalmente illuminato, è lì che inizia tutto. 

A Lucien non manca la fiducia, ma ha bisogno di riscatto, contatti e denaro. È bravo a scrivere però, e in un proto-tabloid nell’era nascente della stampa di massa, scoprirà che può farsi rapidamente un nome. Eppure la classe a cui ambisce continua a considerarlo un topo di campagna. Si rende presto conto che la bellezza, la letteratura e tutto il resto non solo altro che merci. Le recensioni favorevoli vengono acquistate e vendute dagli editori; le controversie vengono preparate per vendere i giornali da entrambe le parti; il pubblico anche nei teatri più raffinati è pagato per applaudire o viceversa fischiare. Le stroncature si pagano, e quando ne si scrive una si sa che non si è mai veramente liberi, perché gli editori sono capricciosi e poi si rischia di non lavorare più.

Ma non bisogna farsi fuorviare dalle apparenze, sotto gli sgargianti costumi d’epoca si nascondono trame che più che mai riguardano l’oggi, e nonostante l’ambientazione sia la stessa, non ci troviamo all’interno di niente di simile al nuovo reality-trash “Come una volta – un amore da favola” recentemente sfornato da Discovery+, una sorta di Uomini e donne in salsa napoleonica, tutto merletti, galateo, monsieur e mademoiselle e poco altro, scimmiottamento per costumi ed estetiche di quel grande soft-porn che è Bridgerton. Nulla di tutto ciò.

Nonostante l’ambientazione nel 1820, l’opera di Giannoli racconta la nascita della società dello spettacolo e della comunicazione di massa, riuscendo a comporre un prodotto che è quanto di più lontano ci possa essere rispetto ai film d’epoca polverosi che si accontentano semplicemente di trascrivere un periodo come in un dipinto datato. Illusioni perdute riesce a dare una vibrazione contemporanea alla storia. Attraverso il prisma di un’epoca fatto di costumi variopinti e démodé racconta il mondo in cui viviamo, racconta di noi

Con frasi che riecheggiano come punti fermi sull’attualità: "faremo così, convinceremo la gente a prendere per vero tutto quel che è probabile" il regista Xavier Giannoli compie una delle imprese più complicate della letteratura francese – adattare Balzac – ritrovando risonanze inquietanti. Tanto la fama può essere improvvisa, quanto può essere facile perdere il favore del pubblico. Allora come oggi. Basti pensare alla velocità con la quale sul web si alimentano le gogne mediatiche. Se Balzac vivesse nella nostra società, ci prenderebbe molto in giro per i social, mezzi che se da una parte esaltano la libertà d’espressione, dall’altra finiscono per appiattire i contesti, i linguaggi e la comunicazione stessa. Chissà Balzac che romanzi sfornerebbe anche solo scrivendo di Instagram. 

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