non solo effetti speciali
L'Oscar per il miglior film a "Spider-Man", c'è chi dice di sì
È la rivincita dei supereroi che salvano la stagione al botteghino. Sarebbe un riscatto per l'Academy che già si è fatto sfuggire in passato "The Dark Knight" e "Black Panther"
È un po’ che nulla va come dovrebbe, parlando di cinema. “Tenet” di Christopher Nolan avrebbe dovuto segnare la ripartenza (era l’agosto del 2020, ancora non sapevamo che sarebbe stata solo la prima riaccensione dei motori) e ci sono andati in pochi. “No Time To Die” di slittamento in slittamento è arrivato nei cinema americani lo scorso ottobre, un mese dopo era già on demand, e così i conti sballano (era previsto per l’aprile 2020, per via del ritardo hanno dovuto ritoccare qualche scena con gli sponsor).
Nessuno dei due ha avuto gli incassi stratosferici che si sarebbero potuti attendere in tempi non pandemici (i cinema sono stati chiusi, le mascherine un po’ di fastidio lo danno, le abitudini si perdono). Il botteghino è tornato in salute con “Spider-Man: No Way Home”, incasso totale: 2 miliardi e 691 milioni di dollari in cinque settimane (meno della metà negli Stati Uniti). Da qui la modesta proposta: candidarlo all’Oscar come miglior film, rompendo il soffitto di vetro che finora ha relegato i supereroi alle categorie tecniche – scenografia, costumi, trucco, effetti speciali. Lo suggerisce su Variety Kelly Port, supervisore degli effetti speciali che ha lavorato a stretto contatto con il regista Jon Watts. C’era da coordinare il ritorno di svariati cattivi provenienti da altri film, il Goblin verdolino di Willem Dafoe, Sandman, il Dottor Octopus di Alfred Molina, con i nuovi trucchi del Dr. Strange, alias Benedict Cumberbatch.
Il regista ha molto insistito sul realismo. “Succedono cose fantastiche e pazze, ma dentro un mondo realistico, gli spettatori devono sentirsi coinvolti” (chissà se aveva in mente “Eternals”, il supereroico e gelido film di Chloé Zhao, come pietra di paragone). Traduzione nostra: capita di tutto, ma deve fare l’effetto dei dinosauri di “Jurassic Park”, quando uscivamo dal cinema commentando “i velociraptor sembrano veri”. Solo per la scena dell’incantesimo hanno impiegato (tra varie cose) un anno e mezzo. È quando Peter Parker implora il Dr. Strange di cancellarlo dalla memoria di tutti, poi pensa a zia May e alla fidanzata MJ, chiede esenzioni in corsa, e vien fuori un disastro di universi paralleli.
La ricerca del realismo ha coinvolto il direttore della fotografia Mauro Fiore, che per le scene ambientate sul Queensboro Bridge ha voluto riprodurre la giusta direzione del sole. I sound designer Tony Lamberti e Ken McGill hanno fatto la loro parte (nei momenti di paura e di emozione, Spider-Man ha già perso una fidanzata per una rovinosa caduta, film addietro). La capo-costumista Sanja Milkovic Hays ha avuto il suo daffare, con i personaggi vecchi e nuovi (dire di più sarebbe spoiler).
Anche il critico di Variety Owen Gleiberman, che pure scrive di aver odiato “Spider-Man: No Way Home”, ne caldeggia la candidatura agli Oscar. Su dieci film tra cui scegliere, uno con incassi sufficienti per far girare la macchina ci può stare. Data un’occhiata ai rivali – il bianco e nero di “Macbeth” diretto da Joel Coen, il bianco e nero di “Belfast” diretto da Kenneth Branagh, la madre più studiosa che chioccia in “La figlia oscura” tratto da Elena Ferrante – sostiene che gli Oscar debbano considerare anche i film che riportano a casa i soldi spesi. Se vogliono avere un futuro.
Il pubblico della televisione (inteso come “spettatori della cerimonia”) lo hanno già perso. E si sono già lasciati scappare due occasioni. Il mancato Oscar a “The Dark Knight” di Christopher Nolan, strepitoso al punto che i supereroi scomparivano. E il mancato Oscar a “Black Panther” di Ryan Coogler, altrettanto strepitoso e molto più “Black Lives Matter” di qualsiasi manifestazione.
Politicamente corretto e panettone