Gli Oscar hanno ucciso l'Uomo-Ragno
Solo una nomination per chi da solo ha tenuto aperte le sale. Spera anche Sorrentino
La gratitudine non è di questi Oscar. Neanche una candidatura seria per “Spider-Man: No Way Home” di Jon Watts, che solo negli Stati Uniti ha incassato 748 milioni (più un altro miliardo all’estero) consentendo ai cinema di restare aperti per proiettare i gioielli della stagione. Ha avuto solo una nomination per gli effetti speciali, mentre “West Side Story” di Steven Spielberg ne ha messe insieme sette, e “Dune” di Denis Villeneuve addirittura dieci (pur essendo più noioso e prevedibile dell’Uomo Ragno, il tipo di fantascienza che va in giro dandosi molte arie e i votanti dell’Academy ci son cascati). L’ultimo (e plurimo) Spider-Man ha combattuto per il futuro del cinema in sala, mentre Jane Campion deve la sua seconda candidatura come regista a “Il potere del cane”, prodotto da Netflix e in gara come miglior film. La grande Enne rossa, con il “tudum” che l’accompagna, apre anche la napoletanissima storia di Paolo Sorrentino, “E’ stata la mano di Dio”, candidata tra i film stranieri assieme a “La persona peggiore del mondo” di Joachim Trier e a “Drive My Car” di Ryusuke Hamaguchi. Fin qui i film usciti in Italia, la cinquina si completa con “Flee” di Jonas Poher Rasmussen (film d’animazione su un rifugiato afghano in Danimarca) e “Lunana: A Yak in the Classroom” che arriva dal piccolo e remoto Bhutan. Diretto da Pawo Choyning Dorji, racconta un insegnante che vorrebbe emigrare in Australia, ma intanto deve trascorrere un gelido inverno in un posto senza distrazioni. Come due anni fa “Parasite” di Bong Joon-ho, al giapponese “Drive My Car” è riuscito il grande salto dalla categoria “miglior film straniero” alla categoria “miglior film e basta”.
Miracolo di un racconto di Haruki Murakami, trasferito al cinema senza effetti speciali (parlano, stanno in macchina, fanno prove in teatro, attività di scarsissimo valore spettacolare). L’esotismo malinconico, misto a lutto e gelosia, ha trascinato critici e spettatori fino al possibile Oscar. La concorrenza è agguerrita, e il film non ha la forza di “Parasite” – ma è sempre in agguato la voglia dei giurati di fare bella figura, mostrandosi cinefili e internazionali – ora che i Golden Globe sono pressoché spariti.
Un altro premio che fa premio (parliamo di chi lo assegna) potrebbe andare a “Il potere del cane”: western diretto da Jane Campion, e rispetto al genere molto poco macho. Tra gli altri candidati al miglior film, i due titoli più belli in circolazione: “Licorice Pizza” di Paul Thomas Anderson (lo vedremo il 17 marzo) e “La fiera delle illusioni” di Guillermo del Toro. Cinema che fa il suo onesto mestiere di raccontare una storia – una che sfiora l’autobiografia, l’altra fantastica ambientata in una fiera di freak. Vale anche per “Belfast” di Kenneth Branagh (nelle sale dal 24 febbraio): sette candidature come “West Side Story” di Steven Spielberg (spettacolare, pieno di musica, balletti e giuste cause d’inclusione poco premiate al botteghino).
Nicole Kidman è candidata come migliore attrice protagonista per “Being the Ricardos”, e Javier Bardem come migliore attore per lo stesso film. Dimenticato Aaron Sorkin, regista e sceneggiatore del film che racconta la carriera televisiva di Lucille Ball, titolare della serie anni 50 “I Love Lucy” (è già su Amazon da un po’). Tra le rivali – con trucco prostetico – Jessica Chastain con “Gli occhi di Tammy Faye”. Mentre Kristen Stewart fa tutto da sola, in “Spencer”, per impersonare la principessa Diana. Tra i maschi candidati, Andrew Garfield in “Tick, Tick… Boom!” diretto da Lin-Manuel Miranda (su Netflix): l’orologio biologico del giovane compositore maschio, che entro i 30 anni vuole sfornare un capolavoro.