Tweet da Oscar
Edward Zwick racconta il mestieraccio del regista
Prima la chiamata da Damien Chazelle per una parte nel film "Babylon", poi la doccia gelata: “Abbiamo preso un altro attore”. Quale sia la parte offerta e sottratta, lo sapremo a fine 2022
Il telefono squilla. Il regista e sceneggiatore – “conspicuously not writing”, vale a dire: l’infelice condizione di chi non riesce a scrivere e neanche a fingere di farlo – risponde e si sente dire che Damien Chazelle lo vorrebbe nel suo prossimo film “Babylon”. Ora le riprese sono finite; al momento dei fatti, il cast per questa storia con Brad Pitt e Margot Robbie nell’epoca del passaggio dal muto al sonoro, era ancora da completare.
Il regista si chiama Edward Zwick, ha nel curriculum “L’ultimo samurai” e “Amore e altri rimedi” (come produttore, è l’uomo dietro “Shakespeare in Love” e “Traffic”). Prende in mano le 175 pagine del copione, e fa quel che ogni attore farebbe: controlla l’importanza della parte. Dieci scene, su un piano di lavorazione che dura tre mesi. Pochino, per uno che sta cercando di finire un suo copione, che quando vede altri registi al lavoro diventa ansioso, che sta negoziando per farsi finanziare un film “indipendente”.
“Me and Damien Chazelle – A Hollywood parable” è il titolo scelto da Edward Zwick per il twitter thread che racconta la vicenda. Scomposta in capitoli: l’impiego del tempo, i pro, i contro, altri dubbi, perfino i precedenti. Nessun piano di lavorazione è mai stato rispettato, se poi le riprese slittano di mesi? Mi devo tagliare la barba fatta crescere quando giravo il primo film? Il mio personaggio dice una battuta per scena, più un discorsetto finale che fa prudere le mani ai montatori (chi sceglieranno tra me e Margot Robbie? A un minuto per pagina, un copione che ne conta 175 è già un film bello lungo). E il viaggio che avevo promesso a mia moglie?
Gli amici suggeriscono: “Buttati, Damien Chazelle è un regista figo e di culto, puoi solo guadagnarci”. Anche Spielberg aveva fatto lavorare altri registi in piccole parti: François Truffaut in “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, Cameron Crowe in “Minority Report”. Già Zwick sogna il discorso di ringraziamento agli Oscar come attore non protagonista, quando arriva la doccia gelata: “Abbiamo preso un altro attore”. Quale sia la parte offerta e sottratta, lo sapremo quando “Babylon” uscirà (a Natale di quest’anno, secondo piani che una volta non sembravano scombinabili). Per ora abbiamo scoperto la bravura da narratore social di Edward Zwick, non nuovo a spassose infilate di tweet. Un’altra serie si intitola “Attori e registi: una storia d’amore” (sottotitolo: aneddoti, antipatie, antidoti).
I registi sostengono che gli attori sono un impiccio. Gli attori sostengono che i registi si comportano da dittatori. Ci sono i set felici e i set infelici, vale quel che Tolstoj diceva delle famiglie: né l’uno né l’altro garantiscono che esca un bel film. Quando il film ha successo, tutti sostengono comunque che non vedono l’ora di rifare l’esperienza, anche se sul set c’era il tipo di artista che non è soddisfatto finché non rende isterici tutti gli altri, dal regista al truccatore.
Che qualcuno riesca a finire un film, in queste condizioni, è un miracolo che continua a incantarci. Ma così si lavora, credete al reduce Zwick. Ha visto di tutto, anche il regista-sceneggiatore chino sul suo modesto film, mentre la star con potere contrattuale pretende una storia per bambini con effetti speciali. Il primo giorno di riprese, il divo riscrive personalmente ogni parola del dialogo. Poiché nessuno di loro conosce la favola della rana e dello scorpione di Orson Welles, il film muore sotto i ferri. Per i perditempo – l’account è irresistibile, passa in rassegna tutti gli aspetti del mestieraccio – ci sono gli “Appunti del regista”. Alla voce “Dorian Gray”, il botox e i filler che hanno prodotto attrici senza età e senza espressione.
Politicamente corretto e panettone