Russia e Ucraina tra guerra, cinema (e boicottaggi)
La serie tv di Zelensky arriva nel Regno Unito; sì ai film russi ai festival, ma solo con abiura
Chi prepara pacchi e chi non stacca gli occhi dalle news. Il gruppo svedese Eccho Rights partecipa alla resistenza ucraina donando 55.000 dollari alla Croce Rossa locale. Ha tolto dal catalogo le produzioni televisive russe, e sta facendo circolare – aveva comprato a suo tempo i diritti internazionali – la serie “Servant of the People”. Protagonista (e produttore, con la sua società Kvartal 95) Volodymyr Zelesnky, il battagliero presidente ucraino che in questi giorni abbiamo visto in maglietta, e che nella serie faceva l’insegnante in giacca e cravatta. Inveiva a scuola contro il potere e la corruzione, uno studente lo riprendeva al cellulare, la campagna elettorale era bella e fatta. Quasi per caso si ritrova presidente. Dopo le tre stagioni della serie, e un film, Zelensky ha fondato un partito con lo stesso nome, si è presentato alle elezioni e nel 2019 le ha vinte a schiacciante maggioranza. Eccho Rights ha già venduto la serie con Zelensky in Romania, in Grecia, e in medio oriente. Con tutto il rispetto, territori un po’ defilati in materia di televisione. E’ di ieri la notizia che i diritti di “Servant of the People” sono stati acquistati dalla britannica Channel 4: manderà in onda la serie da domenica prossima. Sarebbe “servitore del popolo”, ma avendo già patito un avvocato del popolo siamo timorosi di ripetere l’esperienza, e però nello stesso tempo felici che un comico, di tradizione ebraica, tenga alto il livello. Della comicità e della politica, ognuna a suo tempo.
Intanto si mobilitano i festival cinematografici. No, non per proiettare la serie “Servant of the People”, magari fuori programma. Non sono tanto disinvolti. Per regolare il traffico futuro di film e registi provenienti dalla Russia. Venezia e Cannes dicono no alle delegazioni ufficiali. Via libera invece ai film russi, a condizione che i registi dichiarino la propria opposizione a Putin. Qui la faccenda potrebbe farsi complicata, ormai quasi nessuno produce in un solo paese. Un film come “Scompartimento n. 6” (approdato anche sugli schermi italiani) è decisamente “russo”, per le atmosfere e l’ambientazione su un treno che da Mosca va a Murmansk. Ma è una coproduzione di Estonia, Finlandia, Germania, Russia, diretta dal finlandese Juho Kuosmanen.
Il festival francese Series Mania ha nominato presidente della giuria Julia Sinkevych, cofondatrice dell’Ukrainian Film Academy. Per colpa di Putin, gli spettatori russi non vedranno “The Batman” di Matt Reeves (da oggi sui nostri schermi). Neanche “Belfast” di Kenneth Branagh, o “Jurassic World: Dominion”: Universal ha sospeso le uscite in Russia, come Paramount, Warner Bros, Sony. E Disney, la prima a sospendere un mercato che l’anno scorso valeva 445 milioni di dollari, e prima della pandemia si aggirava attorno al miliardo. L’ultimo “Spider-Man: No Way Home” ne ha incassati 45, prima che scattassero le sanzioni. Di questi tempi, anche Hollywood ha i suoi problemi: le uscite nelle sale americane rendono sempre meno, e i mercati un po’ arretrati fanno gioco.
Apple ha smesso di vendere in Russia i suoi prodotti, e ha tolto dallo store (ma solo fuori dalla Russia) le app di RT News e Sputnik News. Netflix, che in Russia esiste da poco più di un anno e conta 1 milione e 212 abbonati, avrebbe dovuto dal primo marzo scorso ritrasmettere i governativi Channel One, Ntv, perfino il Russian Orthodox Church Channel. In tutto, una ventina di canali. Finora non ha fatto nulla di quel che prevedeva la nuova legge. Par di capire che non intende farlo, continuerà a trasmettere solo i suoi contenuti. E al momento Putin sembra avere problemi più urgenti da risolvere.
Effetto nostalgia