(1950-2022)
William Hurt fu al massimo dello splendore nel cinema degli anni 80
"Parlo la lingua del teatro meglio dell’inglese”, disse l'attore scomparso ieri a 71 anni. Ha segnato un'epoca (e un decennio) del cinema statunitense
"Prima tolgo la vecchia cera. Spalmo uno strato sottile di cera nuova. Poi la passo e la ripasso finché diventa lucida”. Lo dice William Hurt, con aria marpiona e calcando sui doppi sensi, alla giornalista Sigourney Weaver che gli ha aperto appena uno spiraglio di porta. Lei indaga su un omicidio avvenuto nel palazzo dove lui fa il guardiano notturno. Se n’è innamorato guardandola in tv, e per attirare l’attenzione finge di aver visto qualcosa di strano. Intanto si offre come affidabile e accurato uomo delle pulizie. “Uno scomodo testimone” è un film di Peter Yates del 1981. William Hurt, scomparso domenica scorsa a 71 anni, era al massimo dello splendore. Qualche anno dopo girerà “Il bacio della donna ragno”, tratto dal romanzo di Manuel Puig e diretto da Héctor Babenco. Turbante in testa, vestaglietta stampata, una passione furibonda per le dive del cinema americano (e, ahimé, anche tedesco e nazista). Ossessivamente racconta i film al compagno di cella, prigioniero politico in un carcere argentino.
Le regole dell’appropriazione culturale – solo un gay può fare la parte di un gay – ci avrebbero privato della magnifica performance. Quando con aria svenevole il nostro sospira: “Vorrei tanto un vero uomo” (intende: come si vedono al cinema). Fu subito Oscar. Ebbe un’altra candidatura per “Figli di un dio minore”, ma il premio andrà all’attrice (sorda) Marlee Matlin. Prima della Juilliard School – la scuola di “Saranno famosi” diretto da Alan Parker – William Hurt aveva studiato Teologia. Cominciò a recitare in teatro, quando i cast di Broadway riunivano Cynthia Nixon, Sigourney Weaver, Harvey Keitel e Jerry Stiller, padre di Ben Stiller. Dichiarò al Times, in tempi più recenti: “Parlo la lingua del teatro meglio dell’inglese”.
Al cinema ebbe grandi ruoli in film che hanno segnato gli anni 80, tutti diretti da Lawrence Kasdan. “Il grande freddo”, per cominciare: un gruppo di amici si ritrova dopo anni, al funerale di un compagno di università morto suicida. Si erano quasi tutti persi di vista, la triste occasione misura le distanze tra quel che volevano diventare (negli anni 60) e quel che sono diventati negli anni 80. Sarà il metro di misura (con il tono della commedia) per tutti i film nostalgici a venire. Il manifesto avverte: “In un mondo freddo hai bisogno di amici che ti tengano caldo”. Ed ecco sfilare le facce del ricco – ma allora debuttante – cast: Glenn Close, Jeff Goldblum, Kevin Kline – c’era anche Kevin Kostner nella parte del suicida, fu tagliato al montaggio. William Hurt è Nick, reduce dal Vietnam sempre un po’ strafatto. Prima delle speranze tradite, Lawrence Kasdan aveva diretto un magnifico neo-noir intitolato “Brivido caldo”. William Hurt fa l’avvocato, sedotto e intrappolato da una bollente Kathleen Turner in gonna e camicia bianca. “Non dovresti portare quel corpo”, le dice lui prima di accorgersi che è lei a condurre il gioco (pericoloso assai: fanno da modello i film in cui il malcapitato dice: “Ho ucciso per i soldi e per una donna, non ho avuto i soldi e neppure la donna”).
Kasdan ha regalato a William Hurt un altro paio di ruoli spassosi. Lo scrittore di viaggi in “Turista per caso”, abitudinario e restio a muoversi da casa (all’origine, un magnifico romanzo di Anne Tyler). E “Ti amerò… fino ad ammazzarti”, farsa coniugale con vari e incrociati tentativi di omicidio, per tradimento e per ripicca. William Hurt è il cugino drogato e incapace, uno degli improvvisati killer arruolati a modico prezzo. Marito e moglie riescono a restare vivi, fanno la pace, si scambiano la più fantastica dichiarazione d’amore sentita al cinema: “Ci ameremo per tutta la vita, come Giulietta e Romeo”.