l'intervista
"La comicità vive anche di cattiveria". Chiacchiere a Cortina con Christian De Sica
L'attore si racconta: il senso dell'umorismo che cambia insieme al paese, gli esordi e i progetti futuri. "Cosa mi spaventa? Le dichiarazioni di Biden e di Putin. Sono figlio della guerra e ciò che accade in Ucraina oggi è impensabile"
Cortina D’Ampezzo. L’Italia? “È un paese in cui tutto è peggiorato, è diventato più cafone", dice al Foglio Christian De Sica, che poi domanda: "Stupisce che uno come me dica questo? Certo, perché a differenza di quello che si possa pensare, i miei film non sono mai cafoni, semmai volgari, che è un’altra cosa”. “Checco Zalone – aggiunge – con il suo politicamente scorretto se ne frega e per me fa anche bene, perché poi ci siamo noi – sia i comici vecchi che i più giovani – che abbiamo paura di far ridere. La lingua italiana non esiste, ma esistono i dialetti e gli stessi si basano su parole. Se ripenso a tutte le cose dette e fatte in passato in rapporto a tutte quelle che oggi non si possono più fare in nome del politically correct, rido da solo, ma la mia è una risata amara. Tutto quello che succede in tal senso, è una stupidaggine, perché la comicità vive anche di cattiveria. Dico sempre che si ride di più col demonio: San Francesco, ad esempio, non fa ridere come è impossibile fare un film comico su Padre Pio. Col demonio, invece, lo puoi fare e uno come Hitler lo puoi prendere in giro”. “Non si può manco più dire gay – aggiunge – preferiscono dire ‘fluido’, ma speriamo che si liberi tutto e sempre di più in tal senso, anche perché è una cosa talmente privata che anche parlarne così tanto ghettizza subito”.
L’hanno sempre accusata di essere un ‘fascistone’, gli facciamo notare. Quindi non è vero? “Ma quando mai?”, ci risponde subito. “Con il mio lavoro, ho sempre preso in giro i miei personaggi, che erano venditori di automobili, palazzinari o misogini e tragicamente li ho fatti diventare simpatici. La comicità è anche lì e se subentra poi il politicamente corretto, come è successo da qualche anno a questa parte, questo va a castrare in primis tutti i comici. I famosi ‘boati’ al cinema, le grasse risate che c’erano negli anni Settanta e Ottanta riferite a una maggiore libertà in tal senso, oggi non ci sono più. De Laurentis faceva firmare i contratti dicendo che dovevano essercene almeno tre. Pensate come sono cambiate le cose. Oggi ci sono solo risatine, commedie romantiche e gentili”. Non è gentile, ma il signor Torsillo – da lui interpretato nel suo nuovo film di YouNuts, Altrimenti ci arrabbiamo, con Edoardo Pesce, Alessandro Roia e Alessandra Mastronardi – è cattivissimo.
“È una cosa ben lontana da come sono realmente, è il mio modo per divertirmi”, ci dice. Siamo alla dodicesima edizione di Cortina Metraggio, il festival fondato e presieduto da Maddalena Mayneri dedicato al meglio della cinematografia breve italiana. Il caldo insolito e la cittadina non certo affollata come in alta stagione, fa considerare lontani i tempi d’oro, “quelli in cui qui c’era il jet set”, ricorda l’attore e regista il cui sogno nel cassetto è di portare sul grande schermo I fannulloni, l’omonimo libro di Marco Lodoli, e che presto torneremo a vedere dal vivo, a teatro, con il suo fortunato spettacolo Una serata tra amici. “Qui passavo sei mesi all’anno, c’erano gli Agnelli e molti altri, mio padre vi girò anche Amanti con Faye Dunaway e Marcello Mastroianni. Quando morì, avevo 23 anni e la mia situazione economica era disastrosa. A Cortina, con Silvia (sua moglie, Silvia Verdone, sorella di Carlo, ndr), avevamo preso una casa in affitto, ma per pagarla saltavamo i pasti. Tempo dopo, dopo aver visto la proiezione privata in uno studio di via Margutta, a Roma, del primo Vacanze di Natale dei Vanzina, ambientato proprio qui, capii che sarebbe stato un successo e le dissi: 'Da oggi, se magna'. È un bene che ci saranno le Olimpiadi, perché sono una grande opportunità. La mia ex sindaca (Virginia Raggi, ndr) non l’ha capito facendo un grande errore per Roma e i romani”.
Il tempo passa e lui continua a raccontarsi. Fu proprio suo papà Vittorio a dargli consigli quando disse che avrebbe voluto fare l’attore. “Studiavo Lettere e avevo dato sei esami, lui pensava che studiassi, ma poi andavo a fare spettacoli alla Festa dell’Unità o a La Capannina a Forte dei Marmi. Quando mi scoprì, mi disse: 'Promettimi che provi un anno, ma se non diventi un numero uno smettila, perché è un mestiere da mendicanti?. Non c’è cosa peggiore che salire e scendere le scale di un produttore chiedendogli: me fai fa’ ddu cose? Quando hai vent’anni lo fai, ma all’età mia diventa una tragedia. Nel mio campo, nonostante partissi svantaggiato – è er figlio di de Sica, mo’ che vole, mi dicevano – sono diventato un numero uno e la cosa mi riempie d’orgoglio. Sono stato molto fortunato, ho sempre fatto tutto quello che volevo fare, mai per soldi o per carriera. Rifiutai L’uomo delle stelle di Tornatore perché ero in Brasile con De Laurentis né ho fatto Il Padrino. Si rende conto? Questo mestiere è un grosso equivoco, ed è per questo che a chiunque mi chiede consigli, dico sempre di intraprendere questa strada solo se è una cosa che piace veramente tanto”.
Oggi dice di avere nostalgia della gioventù. “Per un attore è normale”, ma per strada i ragazzini più piccoli dei suoi figli (Brando e Maria Rosa) lo chiamano ‘zio’, “una frustrata di vitalità per uno come me che ha 71 anni”. Di cosa ha paura? Gli chiediamo. “Delle dichiarazioni di Biden e di Putin. Questa situazione in Ucraina è una follia bestiale. Sono figlio della guerra e questa cosa che è accaduta è impensabile. Ho paura come tutti di questo schifo che sta accadendo, è una vergogna. In questo momento, noi attori, soprattutto noi attori comici, cerchiamo nel nostro piccolo di regalare al pubblico uno svago, delle risate, anche se non è facile”. Mesi fa circolò la voce che sarebbe tornato ai Cinepanettoni. Tornerà con Boldi? Gli chiediamo prima di salutarci, e lui: “Sì, all’ospizio”. (e ride).