botte da oscar
Non c'è reazione più umana dello schiaffo di Will Smith
Lo scontro andrebbe mantenuto nei margini civili del discorso, ma la battuta di Chris Rock tocca l'ultimo vero divieto imposto alle donne: perdere i capelli. Ecco perché sbaglia chi pensa che l'attore stesse "difendendo il suo onore"
A una donna non è proprio concesso perdere i capelli. E’ l’ultimo tabù. E’ una cosa così mostruosa che non riusciamo a farla diventare oggetto di discorso. Non rientra neanche nella riserva della body positivity su cui non si possono fare battute, oggi preferiamo dirigere il nostro sdegno contro il gesto di Will Smith, che a una “battuta” del comico Chris Rock sulla testa rasata della moglie, si è alzato e gli ha dato uno schiaffo. Orrore. Violenza. Ritirategli l’Oscar, hanno detto. E’ machismo, è mascolinità tossica. Tutto, pur di non parlare dei capelli delle donne, che non si possono perdere eppure si perdono. Ma si devono perdere in silenzio, la vergogna deve rimanere privata, meglio nasconderla sotto una parrucca. Il mostrarsi in pubblico così come si è viene subito punito con micro aggressioni mirate: ciao soldato Jane. Ma è solo una battuta! Però vatti a mettere una parrucca.
L’alopecia colpisce le donne meno frequentemente degli uomini, ma non così poco frequentemente come si pensa. Il mondo è pieno di drammi privati consumati nella doccia, con le ciocche che si sfilano, una a una, e il senso di irreparabilità di questa perdita, che dice: ora sei un mostro, una non-più-donna.
Jada Pinkett Smith ha portato questo processo privato in superficie, sui social. Deve aver lottato prima, deve aver pagato medici e rimedi, ma poi ha deciso di venirne a patti, rasarsi e parlarne. Se per una donna qualsiasi perdere i capelli causa una grave crisi personale, per un’attrice dev’essere stata una sofferenza assimilabile alla perdita di una funzione del corpo, una ferita, uno sfregio. Ma mentre di abilismo possiamo parlare, perché quelle sono questioni serie, di capelli non si può parlare, perché sono solo capelli. Possiamo riderci su, che è l’unica cosa che si riesce a fare con i tabù e col mostruoso. Ostracizzare, rendere digeribile attraverso la derisione.
Ora, il gesto di Will Smith. Si è rovinato la serata più importante della sua vita, ha scritto Gabriele Muccino. In effetti chi gliel’ha fatto fare, di avere una reazione umana, per la sofferenza della moglie poi? Meglio sorridere. Invece, la reazione l’ha avuta, e noi che ci scandalizziamo dovremmo in primo luogo ammettere che risolvere le cose a botte è un istinto dell’essere umano, e negare questo principio di aggressività non ci aiuterà a gestirlo, canalizzarlo, magari tradurlo meglio. Non ci renderà più civili. Da piccoli, i bambini fanno la lotta. Alle bambine questo istinto viene amputato, non impariamo mai davvero a misurarci con la nostra forza fisica. I maschi si muovono liberi nello spazio – un cortile, un campo di gioco – e noi veniamo sospinte ai margini. Se corriamo, corriamo tra gli ostacoli dei bordi, senza mai poter passare a una controffensiva, un respingerli nel loro territorio. Mai uno spintone. Un “fermati”.
Questo “fermati” ieri l’ha detto Will Smith al posto della moglie, perché culturalmente lei non poteva, e io questa difesa della moglie non la trovo machista, non trovo che stesse combattendo per se stesso, per il suo onore, non trovo vero nessuno dei significati che hanno appiccicato sopra al suo gesto. Abbiamo paura del nostro stesso istinto a combattere per ciò che è giusto. Lo scontro andrebbe mantenuto nei civili margini di un discorso, ma la prima aggressione è stata di Rock: c’è già violenza nella misoginia. Il gesto di Smith è stata una reazione, limitata dai codici che aveva a disposizione, per cultura e per personalità; discutibile, ma proprio oggi non possiamo confonderci così facilmente, fallire nel riconoscere la ragione e il torto, quando si mettono in scena, così chiari, sul palco degli Oscar.