l'intervista
Sorrentino: "Agli Oscar ho fatto più strada di quanto m'immaginassi. Il prossimo film? Calma"
Intervista al regista di E' stata la mano di Dio, rimasto all'asciutto di premi nella notte di Los Angeles. "Colpito dalle dimostrazioni d'affetto per il mio film. Non vedo l'ora di tornare in Italia: devo riposarmi"
Paolo Sorrentino non ce l’ha fatta e il suo È stata la mano di Dio non ha vinto l’Oscar come Miglior Film Straniero, perché l’Academy ha preferito premiare il ‘rivale’ Drive my car del giapponese Ryusuke Hamaguchi. “Sto bene, anche se ieri sera ho fatto molto tardi. Dopo la cerimonia ho accompagnato mio figlio a una festa dove suonavano dei musicisti che ama molto e abbiamo dormito pochissimo”, ci dice in collegamento da Los Angeles con indosso una felpa da colazione, capelli al vento e un accenno di occhiaie che ne danno conferma. Il sorriso c’è sempre, “perché ho vissuto il tutto come un gioco e va davvero bene così”. Una cerimonia, quella di ieri sera, all’insegna del politically correct, “che per l’arte è un problema”, dice il regista, perché l’arte migliore nasce da un istinto di scorrettezza”. Sul red carpet, assieme alla crew del film, ha messo sul bavero un nastro blu in onore dei rifugiati ucraini, una maniera per dire – e ce lo conferma anche a voce – che questo non era secondo lui “il momento ideale per andare agli Oscar, perché c’è una guerra in corso”. “Qui – aggiunge – la guerra si sente poco, forse perché è più distante, ma da europeo io la sento di più ed è stato davvero imbarazzante”.
“A male pena riesco a parlare di cinema – aggiunge – un’analisi politica non mi interessa, ma da cittadino posso dire che sono contro la guerra come tutte le persone ragionevoli”. “La pandemia - continua - ha inciso molto e a differenza di otto anni fa (quando vinse l’Oscar come Miglior Film Straniero con La Grande Bellezza, ndr), qui tutto è stato ed è meno efficace ed attrattivo”. Finire in Cinquina, comunque, “è già una vittoria”, e lui lo ha imparato da Hollywood. “Qui tutti i candidati sono felici e vivaci e vivono la cinquina come una vittoria. Nessuno si lamenta se non vince. Non mi lamento neanche io e dopo sette mesi di campagna promozionale del film, posso solo dire di essere molto contento, ma anche molto stanco. È un miracolo che un piccolo film come il nostro abbia percorso tutta questa strada, abbia fatto più di quanto potessimo immaginare. Sono rimasto entusiasta delle tante presentazioni fatte e delle dimostrazioni d’affetto ricevute dal pubblico e dai colleghi, Cuarón e Schnabel in primis, oltre che da Netflix che si è impegnato con grande dedizione. Rispetto a otto anni fa – aggiunge - sono solo più grande di età (ride, ndr): se l’altra volta ho colto i lati del meraviglioso, stavolta ho colto quelli dell’ironia, necessaria per guardare le cose con distacco.
Conoscendo, poi, il meccanismo degli Oscar, vista proprio la mia passata esperienza, avevo capito da mesi che non avrei vinto e che tutto l’entusiasmo era per Drive my Car. È giusto che abbia ottenuto la vittoria, perché è davvero un bel film”. E a proposito di film, Sorrentino ci dice che avrebbe dato la statuetta a Liquorice Pizza di Paul Thomas Anderson, “perché per me è il migliore”. Sugli altri non vuole dire nulla, a cominciare dal vincitore Coda (“voglio parlare dei film che mi travolgono e non di quelli degli altri”), come si tiene ben lontano dal commentare lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock. “In quel momento avevo scovato un angoletto dove fumare. Lo schiaffo non l’ho visto, ma me lo hanno raccontato. Mi faccio i fatti miei: ognuno da’ gli schiaffi che vuole”. Prima di salutarci, dice di non avere fretta di tornare a fare film. “Sono oramai grandicello per capire che è meglio fare un film con calma e diradare le presenze. Una volta chiuso con voi, faccio le valigie e torno in Italia, non vedo l’ora”.
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Effetto nostalgia