Mai sottovalutare un comico ebreo con una lunga gavetta alle spalle
La serie tv di Zelensky "Servant of the people" ha una morale. Non vediamo l'ora di vedere l'episodio clou (sempre se riusciremo a resistere all'eccesso di pubblicità)
Farcita di inserti pubblicitari – servono, lo sappiamo benissimo, e se non ci fossero sarebbe peggio, ma al quinto minuto la pazienza scappa, mica siamo a Sanremo – è andata in onda ieri su La7 “Servant of the people”. La serie creata, prodotta e recitata da Volodymyr Zelensky. In due ruoli: il maestro di scuola che diventa presidente, e il poveretto sottoposto a plastica facciale perché possa fargli da controfigura nel taglio dei nastri, e da bersaglio in occasioni più rischiose.
Abbastanza per guadagnarsi la qualifica di showrunner, se fossimo negli Stati Uniti. Siccome siamo alla periferia dell’impero, a volte anche alla periferia della decenza, da noi chi la sa lunga sostiene che l’eroico presidente sotto le bombe in maglietta militare o giubbotto antiproiettile non è in grado di scriversi i discorsi da solo. Né di sapere – senza che un fantomatico “sceneggiatore americano” glielo sussurri all’orecchio – che gli americani hanno avuto l’11 settembre e in Germania ci sono stati i campi di concentramento.
L’eroico Zelensky (allora attore comico, la carriera politica imiterà pari pari quel che succede nella serie) appare nella prima puntata in mutande e canottiera, addormentato nel letto con un libro di Plutarco. E’ in ritardo per la scuola, pretende che la madre gli stiri la camicia, il padre lo accusa di guadagnare una miseria con il lavoro di insegnante. In cifre: meno del sussidio di disoccupazione. Suonano alla porta: i funzionari del governo gli dicono che ha vinto le elezioni, senza rivali. Invece che a scuola andrà al palazzo presidenziale. Colpa – o merito – di un video registrato da un allievo con il cellulare: insulti a destra e a manca, contro i politici corrotti che hanno ridotto la nazione in povertà, e nessuna speranza nelle future elezioni: “Due merde di candidati, tocca votare per il meno peggio”. Un delirio populista in piena regola, terribilmente realistico.
Son d’accordo anche i tre misteriosi individui inquadrati senza che se ne vedano gli occhi. Bocche parlanti che guardano Varsavia di notte come se fosse loro: “Il nostro popolo ha un debole per il populismo a buon mercato”. Tre oligarchi? Tre agenti dei servizi segreti? Tre poteri forti che tramano nell’ombra? Sta di fatto che ognuno aveva il suo candidato per le elezioni, la furiosa tirata del professore (e relativo crowdfunding organizzato dagli studenti) ha scombinato i piani. Una marionetta del Cremlino? Oppure un fantoccio dell’occidente? Intanto il neopresidente ha gli incubi, al capezzale i filosofi greci sembrano non capirci nulla: “Sono al centro dell’Europa, hanno il grano e la democrazia, perché si lamentano?”.
L’arrivo al palazzo presidenziale è in linea con le gag anti dittatoriali, un occhio alla minacciosa Russia. C’è il sosia – prima o poi, garantito, qualcuno dirà che Putin è morto, sostituito da qualcuno che tanto gli assomiglia: basta aspettare e non sarebbe neppure la peggiore delle idiozie che tocca sentire. C’è il mental coach per l’autostima. La psicologa, e la psicologa della psicologa (qui siamo vicini a quel capolavoro di satira intitolato “Morto Stalin se ne fa un altro” di Armando Iannucci). C’è nello staff anche uno sciamano.
Mai sottovalutare un comico ebreo con una lunga gavetta alle spalle. La7 ha mandato ieri le prime due puntate – con dibattito, come ai tempi di “Sex and the City”: allora con giornaliste e psicologhe, oggi con giornalisti e politologi. Tre stagioni (se la pubblicità assiste) seguiranno. Non vediamo l’ora di vedere l’episodio dove Zelensky – una mitraglietta nella mano destra e una nella sinistra, come Arnold Schwarzenegger nei suoi momenti migliori – fa strage di cattivi.