L'arma dell'inganno - operazione Mincemeat
La recensione del film di John Madden, con Colin Firth, Matthew Macfadyen, Kelly McDonald
Un bel film di spionaggio. Da una storia vera. Nel 1943 Churchill e un paio di agenti segreti britannici volevano convincere Hitler che gli alleati non sarebbero sbarcati in Sicilia, bensì in Grecia. Con gran vantaggio per l’esercito liberatore che non si sarebbe trovato di fronte i nemici tedeschi (e italiani) armati e schierati. Pensarono a un trucco piuttosto ingegnoso, che prevedeva un finto soldato da far annegare vicino alle coste spagnole con una valigetta contenente documenti segreti. Fidando sulle numerose spie naziste in terra di Spagna, i documenti che annunciavano lo sbarco in Grecia sarebbero stati consegnati a Hitler.
Che avrebbe detto “oh come son brave le mie spie” cascando nella trappola. Lavorano al piano – prima chiamato “Cavallo di Troia” e poi diventato “Carne trita”, forse con allusione al cadavere che serviva per portarlo a termine – l’agente veterano Colin Firth e il “pinguino” Matthew Macfadyen (voleva far carriera come pilota, ma ha gli occhiali e i piedi piatti). Con una fedelissima segretaria e una bella ragazza che ci sa fare con i codici e la finzione, un po’ meno con la vita vera. Ben sceneggiato, forse con troppe storie d’amore per il genere – al finto soldato bisogna trovare un nome, una biografia, e magari mettergli in tasca la lettera di un’innamorata. Alla centrale dell’intelligence, nello scantinato, tutti scrivono romanzi – è la gag ricorrente, finché incontriamo lungo la strada che porta all’altopiano un giovanotto che si chiama Ian Fleming.