l'edizione n. 75
A Cannes 2022 è il turno dei film a tinte fosche
Dalla Romania a Berlino, passando per Napoli: molte storie tetre, con e senza guerra
Non fate troppe feste, c’è la guerra. Lo ha detto Cristian Mungiu, regista rumeno che a Cannes deve tutto. E’ arrivato nel 2007 da sconosciuto, è ripartito con una Palma d’oro (per la storia disperata di “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni”). Ormai fa parte dei soliti noti che tornano a Cannes ogni anno. Siamo abituati alla tetraggine della Romania di ieri. A giudicare da “R.M.N”– sta per risonanza magnetica – la Transilvania di oggi non è da meno (sulle città, sospendiamo il giudizio).
Operaio in un macello tedesco, Matthias torna a casa dopo una rissa (lo hanno chiamato “zingaro”). Trova il vecchio genitore infermo e il figlio che ha paura di tutto, forse ha fatto brutti incontri nel bosco forse son crisi di panico. Ha un’amante più sveglia di lui: con una socia e i fondi europei ha avviato un panificio industriale. Nel villaggio ai piedi dei Carpazi vivono rumeni e ungheresi, ora ferocemente alleati contro due operai dello Sri Lanka che lavorano alle impastatrici, stipendio minimo. In chiesa alla vigilia di Natale giurano che mai e poi mai compreranno il pane toccato da mani straniere.
Perfino più tetro del solito, girato quando non si parlava di guerra e di petrolio. E’ solo guerra la “Storia naturale della distruzione” di Sergej Loznitsa, matematico di formazione (al politecnico di Kyiv, vive in Germania). Titolo rubato a un libro di W. G. Sebald, che in una serie di lezioni a Zurigo parlò dei bombardamenti alleati sulla Germania nazista, città distrutte e vittime civili.
Tre anni di ricerche d’archivio e una faticosa ricerca di finanziamenti – i filmati d’epoca, qualcuno a colori, hanno bisogno di costosi restauri – per ricavarne due ore senza una parola di commento. Solo qualche frase di Churchill che insiste “costi quel che costi, dobbiamo vincere questa guerra contro il nazismo e Hitler”. Nel loro piccolo, gli ucraini contro Putin. Le immagini mostrano persone al caffè, negozi che aprono, l’industria bellica che gira al massimo, le bombe caricate sugli aerei, i voli per sganciarle, le città distrutte. Contraltare tragico di “Berlino - Sinfonia di una grande città”: il film di montaggio che raccontava una giornata a Berlino, nel 1927.
Spettatori di fronte a “Nostalgia” di Mario Martone: perplessi. Per il bizzarro accento di Pierfrancesco Favino, che ha vissuto 40 anni in Libano, Africa ed Egitto (ma a che serve, se poi la recitazione resta da antica scuola italiana?). Per certi snodi di trama forzati, in una sceneggiatura che carica ogni scena con un messaggio. Per Napoli che non è mai la Napoli da cartolina, dicono i critici avveduti. Ma è sempre la solita Napoli del Rione Sanità. Nel 2019 il regista aveva filmato un’ottima versione di “Il sindaco del rione Sanità” di Eduardo De Filippo: svelta e asciutta, aveva le qualità che mancano a questo film.
Felice Lasco (Favino) se n’era scappato da Napoli per un incidente di percorso, diciamo così. Giovane apprendista malavitoso, assieme all’amico del cuore Oreste era entrato in una casa per rubare. C’era scappato il morto, i due non si erano mai più rivisti. Né scritti, né telefonati, gli rimprovera Oreste che ha fatto carriera nella camorra e non ama i ficcanaso. In effetti, Felice fa così tante domande – di quelle che ammutoliscono gli astanti – da non sembrare mai stato a Napoli in vita sua. Non deve neanche aver visto un film di mafia o camorra in vita sua.
Si ritrovano. Oreste-Tommaso Ragno in canottiera, tutto bianco di barba e capelli, e l’ex amico con i capelli nero pece e certe magliette comprate chissà dove. Il parroco (l’attore Francesco Di Leva) salva i ragazzini del quartiere dal crimine e gli spettatori dalla solennità di certi dialoghi. Da ieri, anche in sala.
Effetto nostalgia