(Foto di Ansa) 

La crisi di Netflix sta nell'aver proposto le stesse cose della tv da cui fuggivamo

Mariarosa Mancuso

Dentro l'azienda di streaming è scoppiata una guerra tra Ted Sarandos, amministratore delegato e la sua vice Cindy Holland, licenziata dopo 16 anni di servizio: creare serie costose ma originali o contenuti "broader" ma più economici?

La bolla dei contenuti streaming è scoppiata? Se ne parla da un po’, qualcuno dice che sta arrivando, Martha Kauffman sostiene che è già scoppiata. Crediamo a Mrs Kauffmann, showrunner per i 94 episodi di “Grace & Frankie”, con Jane Fonda e Lily Tomlin. Le mature signore vengono piantate dai mariti di una vita, che da molti anni si amano in segreto e all’inizio delle 7 stagioni hanno deciso di convolare a nozze. Mollando la moglie snob e la moglie hippie: quando Jane eternamente a dieta ordina “per me solo una vodka” la ruspante Lily le sussurra nell’orecchio “patate”.

 

La bolla dei contenuti è scoppiata. E Netflix ha preso atto che la crescita degli abbonamenti non è infinita. Il capo Ted Sarandos aveva detto “come rivale abbiamo solo il sonno”. Quel tempo felice e spensierato è finito, ben prima della guerra, e dell’inflazione. Adesso bisogna vedersela con la concorrenza vera: le altre piattaforme streaming. Sono in tante a contendersi la nostra attenzione e i nostri portafogli. Mentre gioiscono per i cattivi risultati di Netflix, e scacciano l’orribile verità: non è che poi succede anche a me?
     

In un mondo perfetto tutto questo sgomitare dovrebbe fare scendere i prezzi e migliorare l’offerta. I film e le serie – a chiamarli così già lo spettatore si rassicura – sono narrazioni articolate con una forma. I contenuti sono come l’acqua che esce dal rubinetto e prende la forma del contenitore (pessimo esempio, di questi tempi, ma rende l’idea). Non vi sarà sfuggito che “le serie scritte bene come i romanzi e meglio dei film” sono sempre più difficili da trovare.

Non è perché ne abbiamo viste troppe. E’ perché dentro Netflix è scoppiata una guerra, fra Ted Sarandos e la sua vice Cindy Holland (che dopo 16 anni di servizio nel 2020 ha lasciato l’azienda). Cindy Holland credeva nei grandi progetti, in termini di qualità e di budget, con certo gusto per il rischio. Ora sembra facile, ma dietro lo strepitoso successo di “Stranger Things” c’è un duro lavoro, e non tutti – prima – capiscono il potenziale. Non era ovvio che gli anni 80 e il paranormale sarebbero diventati una macchina per vincere premi.


La rottura si è consumata su “La regina degli scacchi”, miniserie considerata da Sarandos troppo costosa e di nicchia. Voleva indirizzare il futuro di Netflix nella direzione opposta. “Walmart-ization”, dal nome dei grandi magazzini popolari, caratterizzati dai prezzi all’osso. Niente più film e serie originali (anche nel senso dell’ideazione), quindi brillanti e costosi.  Nel gergo aziendale che cerca di mettere una pezza sulla dolorosa verità, contenuti “broader”: per un pubblico più ampio, volendo usare un termine tecnico “generalisti”. Vi ricorda qualcosa? E’ la televisione da cui volevamo scappare, quella per cui ci siamo abbonati a Netflix (e a molte altre piattaforme).

Un’inchiesta sull’Hollywood Reporter rivela che Cindy Holland faceva anche il duro mestiere (caduto in disuso, se ne vedono i risultati) di produttrice: seguiva sceneggiatori e registi durante lo sviluppo di un’idea. I maligni sostenevano che Ted Sarandos fosse più bravo a fare il capo delle cheerleader che a scegliere (insulto definitivo, per chi deve appunto dire sì a un progetto e no a un altro).

La guerra è diventata una guerra di dame. Ted Sarandos ha assunto (e strapagato – 18 milioni di dollari all’anno) Baja Bajaria, americana di origini indiane. Prima mossa, comprare dalla concorrenza la serie “You” (il bel corteggiatore assassino, ricordate?) che Cindy Holland non aveva voluto e su Netflix è piaciuta. Tutti possono sbagliare. Resta il fatto che i buoni investimenti si fanno sulle idee originali, scartando le brutte copie.

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