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Gli incontri dei gran capi di Netflix per specificare: "Non siamo al verde"
Hanno cercato di rassicurare i registi e gli agenti, i dirigenti e gli showrunner. Abbiamo ancora soldi da spendere. E l’attuale congiuntura non ci distrarrà dalla nostra principale missione (rullo di tamburi): produrre contenuti “buzzy”
La notizia più divertente in questi giorni su Variety – ormai lo interroghiamo come l’oracolo, per sapere se e quando finirà il periodo delle vacche magre o delle vacche inutilmente grasse – riguarda gli incontri che i grandi capi Netflix hanno organizzato a Hollywood. Per convincere la gente del mestiere che gli abbonamenti sono scesi, il calo in borsa c’è stato, ma soldi da spendere ne hanno ancora.
“Non siamo al verde” (parole del cronista di Variety), ha spiegato il ceo Ted Sarandos, con Scott Stuber responsabile del settore film, e Bela Bajaria, responsabile della “global television” (si chiama ancora così anche se della vecchia tv restano poche tracce). Hanno cercato di rassicurare i registi e gli agenti, i dirigenti e gli showrunner. Abbiamo ancora soldi da spendere. E l’attuale congiuntura – non era mai successo che le azioni perdessero valore, e che gli abbonati non fossero più tanto affezionati (tralasciando la minaccia ai già paganti di introdurre restrizioni alle password “in sharing”) – non ci distrarrà dalla nostra principale missione (rullo di tamburi): produrre contenuti “buzzy”.
Buzzy sta per “entusiasmanti”, soprattutto nel senso “fanno parlare di sé” – noi diciamo “passaparola”, che per esempio è ancora l’unico modo conosciuto per far salire in classifica i libri che davvero i lettori leggono. “Buzz” è quel che si dice quando al Festival di Cannes un film sconosciuto è improvvisamente chiacchierato – vale soprattutto per i film compravenduti al Marché. Un’ottima recensione, per esempio su Variety, e un’opera prima di regista finora mai sentito che costava come una festicciola di compleanno vede salire le sue quotazioni, perché parte l’asta.
Il messaggio è stato ricevuto, con le cifre che rendono il discorso più convincente. 17 miliardi da spendere quest’anno, come è stato nel 2021 e come probabilmente sarà per il 2023. I controlli periodici fanno parte della routine, registi e produttori non devono preoccuparsi. I milioni vanno via come niente, 50 sono stati spesi per l’ultimo film di David Yates con Emily Blunt, “Pain Hustlers”. Altri 4 e mezzo saranno il montepremi per un reality inspirato a “Squid Game”.
Per niente rassicurati dal denaro speso per progetti diversi dal loro, i produttori hanno cominciato da un po’ a stringere la cinghia. E si aspettano nel giro di qualche settimana altri “non interessa più, grazie” su progetti non ancora arrivati alla firma. Netflix stava già risparmiando prima dei brutti risultati di aprile. Serie chiuse alla terza stagione per esempio: si risparmia e non si annoia lo spettatore. E stagioni più brevi: sei episodi possono bastare. Meglio non investire troppi soldi, se c’è il rischio che l’abbonato passi alla concorrenza.