l'audio-commento

Jean-Luc Godard, più un rito che un regista

Mariarosa Mancuso

Nel 1960 girò "Fino all'ultimo respiro". Jean Paul Belmondo, Jean Seberg con i capelli tagliati a zero, macchina da presa a mano: era nata la Nouvelle Vague. Poi ci furono altri film, ma mai così belli. E agli ultimi festival molti, nel buio della sala, si appisolavano

C’era un fumetto intitolato “Directorama”. Per farla breve: il paradiso dei registi. Peet Gelderblom iniziò le sue strisce nel 2007, quando a poche ore di distanza Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni volarono in cielo. Siamo stati abbastanza rispettosi finora? Possiamo continuare. I due sulle nuvolette si salutano cordialmente, e in cuor loro – si mente anche in paradiso – pensano che il rivale sia un cialtrone. Ora che lassù è arrivato Jean-Luc Godard nessuno potrà stare in pace. I suoi fan l’hanno sempre venerato come un Dio, e identificato con il Cinema. Forse era il cinema quando girava “Fino all’ultimo respiro”, o “Pierrot le fou” (titolo italiano: “Il bandito delle 11”). Vogliamo aggiungere “Week end”, con il grande ingorgo automobilistico? Benissimo, sono gli anni Sessanta, più di mezzo secolo fa. Vogliamo aggiungere “Due o tre cose che so di lei”. Già “La cinese” – rivoluzione in un appartamento lasciato libero dai genitori partiti per le vacanze – cominciava a collocarsi lontano dalla nostra idea di cinema.
      

Jean-Luc Godard litigava con François Truffaut – gli rubava anche l’attore dei “Quattrocento colpi” Jean-Pierre Léaud. Noi abbiamo sempre fatto il tifo per Truffaut, che fino alla morte intempestiva, nel 1984, ha sempre girato film con un inizio, uno svolgimento e un finale. In questo ordine. Mentre Godard – sarà stata una reazione ai ricchi genitori svizzeri, all’ordine borghese, alla società divisa in classi – concordava sulle tre parti, ma “non necessariamente in questo ordine”.
    

Il marxismo era nulla, a confronto della sperimentazione tecnologica. Parliamo naturalmente dell’effetto sui film successivi. Contorti nelle intenzioni e banali nei risultati. Se un direttore di festival ne avesse ricevuto uno senza la firma prestigiosa  lo avrebbe sicuramente respinto. Brandelli di parlato. Parole in sovrimpressione. Immagini in libertà. Le inutili tre dimensioni. Lassù, leggendo gli articoli in morte e venerazione, si farà una gran risata. La burla è riuscita, stanno dichiarando morto anche il cinema.

Di più su questi argomenti: