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capitalisme attentionel

Allarme in Francia: le serie tv hanno lanciato un'Opa sul nostro immaginario

Mariarosa Mancuso

Parigi crede ancora nell’alienazione e mette Netflix sotto accusa. Un pamphlet di Romain Blondeau parla di una malattia ben precisa: il capitalismo dell’attenzione, che provoca guasti su sonno, memoria e ansia. In pratica, è come avere un braccialetto elettronico alla caviglia

Alienazione. I francesi ancora ci credono, anche dopo l’addio a Jean-Luc Godard. Stavolta il colpevole è Netflix, in combutta con Macron, entrambi convinti sostenitori dell’innovazione e dell’imprenditorialità. Intanto le sale cinematografiche chiudono, e se non chiudono perdono spettatori.

 

 Ma questo già lo sapete, e in Francia soffrono meno che altrove: hanno obbligato la piattaforma a investire nel cinema francese il 20 per cento della cifra d’affari e stabilito una finestra di 15 – quindici – mesi tra l’uscita in sala e l’uscita in streaming. Resta l’alienazione, appunto. Colpa già imputata al consumismo e alla televisione, oltre alla pubblicità complice di entrambi. Per non parlar di Hollywood. “Netflix l’aliènation en série” è un pamphlet di Romain Blondeau pubblicato nella collana SeuilLibelle. Subito spiega perché Hollywood è meglio (un classico dell’ideologia: il vecchio nemico finisce per diventare amico).

A Los Angeles praticavano il capitalismo tradizionale, capace di rischiare e lasciare spazio all’innovazione. Inventavano nuovi generi e aprivano mercati. Netflix ha un comportamento nichilista, minaccia il nostro sonno (lo disse il fondatore Reed Hastings, “non abbiamo altra concorrenza). E con i sogni, come la mettiamo? Nel 1985 Neil Postman scrisse il saggio “Divertirsi da morire”, annunciando catastrofi per colpa della televisione. Anzi, della neo-televisione: la tv dei suoi anni giovanili – era nato nel 1931 – non era stata per lui tanto disastrosa. L’alienazione Netflix è il passo successivo. Anche se ci annoiamo davanti a certe serie prodotte dall’algoritmo, il parolone sembra esagerato.

A a chi gli rimproverava che il 90 per cento della fantascienza fa schifo, Theodore Sturgeon (scrittore di fantascienza pubblicato da Adelphi, “I cristalli sognanti”) - faceva notare che il 90 per cento di ogni cosa è da buttare. Anche se leggiamo solo romanzi vincitori di premio Strega. Anche se uno guarda tutte le proposte d’autore che Mubi propone ogni giorno. Con lo slogan: “Una finestra sul nuovo cinema indiano” o “Godard per sempre”. Neanche su Paramount+ – nuovo streaming lanciato il 15 settembre – tutto sarà di primissima qualità. Eppure l’amministratore delegato Jaime Ondarza punta a superare gli abbonati Netflix entro un anno (non contate su di noi per impedirlo).

Romain Blondeau insiste sull’alienazione. Passiamo tanto tempo a guardare Netflix che non ci ribelliamo al capufficio, non chiediamo aumenti, non facciamo più l’amore, stiamo chiusi in casa come se avessimo il braccialetto elettronico alla caviglia. La malattia ha un nome, “capitalisme attentionel” – capitalismo dell’attenzione. Guasti accertati sul sonno e la memoria, procura ansia e stati depressivi: questo dovrebbe essere scritto sul bugiardino di Netflix – e magari della concorrenza che Blondeau non considera.

Ci sarà qualcosa di buono? Certo, l’attenzione di Netflix alle minoranze, cominciata con la serie carceraria – secondo tradizione, il più maschilista dei generi – di “Orange is the New Black”. Girata la pagina, diventa un capo d’accusa. L’hanno fatto per acchiappare il pubblico giovane e sensibile. Lo stesso pubblico  che dovrebbe secondo Blondeau rappresentare la speranza: anche qui si abbatte su di noi il capitolo “riportare la gente al cinema”. Compito difficile, date le premesse: “Le serie hanno lanciato un’Opa sul nostro immaginario”. I rimedi son peggiori del male. “Far diventare le sale qualcosa di sacro, considerarle un bene comune”. Ricordare come certi film “ci hanno cambiato, e forse reso migliori”. Slogan di totale insuccesso, e da anni, nel caso della lettura: qualcuno lo faccia sapere a Monsieur Blondeau.

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