il ricordo
Comico e malinconico, il regista Luciano Salce ricordato in una mostra a Villa Giulia
Con il suo spirito anarcoide e libertario ha inondato le sale cinematografiche della sua comicità surreale, che, negli anni, scomoda a destra e a sinistra è stata ignorata, incompresa e fatta sparire
Scrittore, ma anche musicista; cantante, ma anche sceneggiatore; conduttore, attore, regista… teatro, cinema, Tv, radio. Ironico e pronto a ridere di tutti e tutto, sé stesso per primo, con eleganza, intelligenza, amaro disincanto che tuttavia non si abbandona al cinismo. Luciano Salce, insomma. Oggi avrebbe da poco cent’anni: è nato a Roma, il 25 settembre. Il figlio Emanuele, assieme ad Andrea Pergolari, ha allestito in suo onore la mostra: “Luciano Salce. L’ironia è una cosa seria” (Museo di Villa Giulia a Roma).
Bella, interessante, una quantità di notizie inedite. Salce è parte di quella generazione che vive gli anni della guerra. L’8 settembre i nazisti lo deportano a Moosburg. Fugge; collaborazionisti italiani lo tradiscono, viene rinchiuso a Dachau: gli asportano la protesi mandibolare d’oro messa per un incidente stradale. Di quegli anni non parlerà mai. Nel diario, sotto 1943-1945, si legge solo: “Due anni difficili”. Ne reca però i segni visivi: un profilo alterato per sempre, una sorta di tratto distintivo di quello che ha patito. Si diploma all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico. Inizia col teatro, assieme all’amico fraterno Vittorio Gassman. Con il Teatro dei Gobbi, con Vittorio Caprioli e Franca Valeri, arriva al cabaret satirico. Diventa famoso partecipando in tv a “Studio Uno”, scrive canzoni per Gianni Morandi e Luigi Tenco… Recita in una cinquantina di film, altrettanti ne dirige: “Il federale”; “La voglia matta”; “Basta guardarla”; “L’anatra all’arancia”; i primi due film del ciclo di Fantozzi con Paolo Villaggio…
Grazie alla mostra, un poliedrico artista viene strappato all’ingiusto oblio in cui era precipitato; anche chi è digiuno di cinema scopre che un tempo non troppo lontano Cinecittà a Roma non aveva nulla da invidiare a Hollywood. Un periodo d’oro: ricco di idee, intuizioni, registi, attori, sceneggiatori, montatori, caratteristi, autori di colonne sonore… un’immensa macchina che regala allo spettatore storie che commuovono, divertono, fanno riflettere, denunciano.
Il cinema dei grandi mattatori: colleghi, ma anche amici che si capiscono al volo. Sono i Gassman, i De Sica, i Tognazzi, i Vanzina col loro seguito di mogli, figli, parenti. Al lavoro anche quando sono in ozio: le loro battute, i loro scherzi li ritroviamo poi nei film. È la “commedia all’italiana”: comicità con un fondo di angoscia, un giudizio sostanzialmente amaro sul mondo e su se stessi.
Salce è uno dei protagonisti. Ma sfogliate le storie del cinema: il suo nome viene omesso, la sua surreale comicità ignorata, incompresa (o forse no: compresa benissimo).
Si prenda un suo film del 1969, “Il colpo di stato”. Elezioni politiche, un calcolatore elettronico rivela che contrariamente alle previsioni, la Democrazia Cristiana perderà, vincerà il Partito Comunista. Si scatena il panico: gli Stati Uniti allertano i missili, i ricchi espatriano, i generali consigliano un colpo di stato per mantenere il potere… Gli stessi comunisti dopo essersi consultati con i russi, dichiarano che preferiscono non governare, che i risultati sono sbagliati. Il calcolatore viene distrutto, il suo inventore internato in manicomio, torna la tranquillità. Film scomodo: non piace a destra e a sinistra, rapidamente fatto sparire dalle sale cinematografiche.
Spirito anarcoide e libertario, Salce, accetta di scrivere articoli su “Liberazione” un quotidiano che a metà anni ‘70 fondato da Marco Pannella: propone un quasi forzoso controllo delle nascite, l’uso intensivo di anticoncezionali, l’abrogazione del Concordato tra stato e chiesa, pesantissima tassazione sulla produzione delle automobili… Il tutto condito con ironia beffarda, grottesca. Non è mai banale: svela le assurdità del mondo che ci circonda con effetti irresistibilmente comici; mai retorico, con una vena di costante malinconia. Questa è la sua cifra, questo paga.