Festa del cinema di Roma 2022
I tormenti di due ragazzi ebrei: Steven Spielberg e James Gray svoltano verso l'autobiografia
Per uno la vocazione cinefila culmina in un incontro con il regista John Ford, mentre per l'altro non si rinvengono tracce precoci. I due registi convergono verso il racconto del sé
Steven Spielberg, 75 anni. James Gray, 53 anni. Hanno raccontato – lista provvisoria e unificata – camion assassini, extraterrestri, schiavi africani, squali, archeologi avventurosi, bande rivali a New York, presidenti, truffatori, giornali, dinosauri, soldati americani in Francia, Little Odessa, poliziotti corrotti del Nypd, esploratori dispersi in Amazzonia. Ora svoltano verso l’autobiografia. Steven Spielberg con “The Fabelmans”, nelle sale il 22 dicembre, e James Gray con “Armageddon Time - Il tempo dell’apocalisse”: era al festival di Cannes e uscirà a marzo (entrambi presentati da Alice nella Città & Festa di Roma congiunte). L’apprendistato di un ragazzo ebreo con la passione per il cinema, l’apprendistato di un ragazzo ebreo con amicizie pericolose. Paul Thomas Anderson, quasi coetaneo di James Gray, il suo romanzo di formazione lo ha già fatto nell’incantevole “Licorice Pizza” (sono i vinili per il giradischi).
Il giovane Spielberg si chiama Sammy Fabelman, la prima volta che lo portano al cinema è spaventato. “Le immagini sono come i sogni”, spiega la mamma rassicurante, ottenendo l’effetto contrario: “Ma i sogni fanno paura!”, Vanno a vedere “Il più grande spettacolo del mondo” di Cecil B. DeMille, con lo spettacolare incidente ferroviario. Il piccolo Sammy non urla, come gli spettatori dei Lumière. Rifà il disastro con il trenino elettrico. La mamma suggerisce di filmarlo, “così lo puoi rivedere ogni volta che vuoi”.
I genitori sono Paul Dano, pioniere dell’informatica, e Michelle Williams che sarebbe l’artista della famiglia e suona il pianoforte. Vivono nel New Jersey e poi in Arizona con Bernie, amico e collega del distratto genitore. Tappa verso la California, dove la vocazione del giovanotto culmina in un breve incontro con il regista John Ford (David Lynch con la benda sull’occhio). Consiglio del maestro: “Quando l’orizzonte è più in basso, oppure più in alto rispetto ai personaggi, tutto va bene. Se è a metà dello schermo, è noia garantita”.
Il maestro Ford avrebbe potuto aggiungere qualche consiglio sul montaggio. “The Fabelmans” dura due ore e mezza, ha momenti di meravigliosa tenerezza e ironia, oltre all’amore sconfinato per il cinema. Ma l’idea che la pellicola possa rivelare la verità è troppo insistita. Lo spettatore non distratto se ne accorge al primo fermo immagine con Michelle Williams e Seth Rogen, “zio Berny” nel lessico familiare. I dettagli e gli oggetti d’epoca sono favolosi, come i piccoli film dove recitano sorelle e amici, prima del bullismo scolastico dei maschioni californiani contro il mingherlino ebreo (“casa nostra è quella senza luci natalizie”). “Armageddon Time - Il tempo dell’apocalisse” si riferisce a una frase di Ronald Reagan durante un comizio elettorale: “O votate per me o arriverà la fine del mondo”. Il figlio di una famiglia ebraico-americana stringe amicizia con un ragazzino nero, e si mette nei guai. Per punizione, lo mandano nella scuola privata finanziata dal padre di Donald Trump. Tracce precoci di passione cinefila, non pervenute.