il racconto
A Taranto, sul set di Comandante, il nuovo film di Edoardo De Angelis
Il regista di Indivisibili e Il vizio della speranza sta girando in Puglia la storia di Salvatore Todaro scritta con Sandro Veronesi. “Era figlio del proprio tempo e di ogni tempo, un monarchico non pacifista capace di gesti memorabili, tanto da salvare i suoi nemici”
A Taranto, le luci del primo pomeriggio si confondono tra le nuvole grigie e un vento “caldo ma non invasivo”, come ci dice la persona che ci accompagna. Attraversiamo l’isola del Borgo Antico con le sue case tipiche, il MArTA (il Museo Archeologico Nazionale) e il castello Aragonese fino al ponte girevole che ci porta alla penisola del Borgo Nuovo. Destinazione: il bacino Ferrati all’Arsenale Marittimo. È lì che dal 7 novembre scorso sono iniziate le riprese di Comandante, il nuovo film di Edoardo De Angelis, e quel set – che abbiamo l’onore di visitare in anteprima – resterà attivo otto settimane per poi trasferirsi a Roma, a Cinecittà.
Il sommergibile Cappellini della Regia Marina, riprodotto in scala 1:1 è davanti ai nostri occhi: uno scafo reale, simile all’originale di 73 metri, completamente in acciaio. “Il nostro obiettivo è stato quello di riprodurlo fedelmente per far muovere gli attori in uno spazio che fosse il più naturale possibile”, ci spiega lo scenografo Carmine Guarino – e per ottenere questo, abbiamo studiato i progetti trovati nell’Ufficio Storico della Marina Militare, analizzato le foto di altri sommergibili, prodotto più di 150 tavole da disegno e curato la costruzione nei minimi dettagli, dando una particolare attenzione ai materiali utilizzati e coinvolgendo più di 100 professionisti fra ingegneri, costruttori e artigiani in otto mesi di lavori”.
Iniziamo volutamente il nostro racconto di questo set speciale – una produzione Indigo Film con Rai Cinema, O’Groove, Tramp Ltd, Bfroove e Wise (costo complessivo: 14,5 milioni di euro) – perché la storia raccontata nel film inizia proprio in quel sommergibile, teatro d’azione della vita in mare del suo comandante Salvatore Todaro e delle persone che erano con lui. A interpretarlo, De Angelis ha scelto Pierfrancesco Favino – “per la sua bravura di tirar fuori dal personaggio qualcosa che non si era ancora visto” – e tra gli altri attori ci sono Massimiliano Rossi e Silvia D'Amico.
Stando alla sinossi, nell’ottobre del 1940, navigando sull’Atlantico, il Cappellini si imbatte nel Kabalo, un mercantile di nazionalità belga che viaggia a luci spente. Scoppia la battaglia e il comandante riesce ad affondarlo a colpi di cannone, decidendo però di salvare i 26 naufraghi belgi. Li rimorchia per tre giorni su una barca navigando in emersione – mettendo a rischio sé stesso e i suoi – e poi li accoglie addirittura a bordo negli spazi angusti dello scafo, sbarcandoli infine nella baia di Santa Maria delle Azzorre, il porto sicuro più vicino come previsto dalla legge del mare. Al capitano avversario che gli chiede perché avesse salvato l'equipaggio contravvenendo alle direttive del suo stesso comando, Todaro risponde secco: “Perché noi siamo italiani”. Quella stessa frase, su un poster bianco e nero, la ritroviamo anche sul set in diversi punti e uno street artist la disegna con lo spray nero anche al nostro arrivo.
“È una storia che mi ha creato un corto circuito”, ci spiega De Angelis, acclamato regista di Indivisibili e Il Vizio della speranza. “L’ho scoperta nel 2018 durante le celebrazioni dei 123 anni della guardia costiera, raccontata dall’allora ammiraglio Giovanni Pettorino per dare un’indicazione ai propri uomini su come ci si deve comportare in mare, un memento di come deve comportarsi la guardia costiera. Me ne innamorai subito e decisi di parlarne con il mio produttore Pierpaolo Verga e poi anche con Sandro Veronesi per scriverlo insieme. Lui non scrive quasi mai sceneggiature per i film, ma dato che è l’eroe della nostra letteratura, ho fatto di tutto per averlo e sono riuscito a convincerlo preparandogli una pasta e patate con un ingrediente segreto (ride)”. Una sceneggiatura, tra l’altro, che diventerà anche un romanzo a quattro mani firmato da entrambi, in uscita il 25 gennaio 2023 per Bompiani.
“Studiando il personaggio di Todaro – continua – che era un grande appassionato di spiritismo e della cultura farsi e parlava anche il persiano, ci si è aperto un mondo vista la quantità di appunti e di cimeli che aveva, scoperti dalla sua famiglia anni dopo la sua morte. Leggendo le lettere che spediva a sua moglie, incontrata più volte, abbiamo ricostruito il suo pensiero, quello di un uomo che era un vero militare, di certo non un pacifista, fermamente convinto della propria missione. ‘Mi sento un uomo alla guida di una triremi romana di 2000 anni fa’ era solito ripetere. Odiava, come diceva lui, quegli anni di storia sulle spalle”, continua il regista. “Si sentiva figlio del proprio tempo, ma anche figlio di ogni tempo”. Rispetto ad oggi e alle ong in cui c’è una mistificazione della forza intesa come gesto di sopraffazione, come strumento di predominio, “la storia di Salvatore Todaro mi ha fatto invece vedere quanto l’uomo veramente forte sia in realtà capace di tendere la mano all’uomo debole. Todaro affonda il ferro delle navi nemiche senza paura e senza pietà, ma è ben consapevole che il nemico inerme, non è più nemico, ma solo un altro uomo. E allora lo salva”.
“Ho voluto scrivere questa storia con Edoardo – precisa Veronesi, Premio Strega con il romanzo Il colibrì – per rispondere a dei tempi che non mi piacevano. Non mi piaceva come si stava comportando l’Italia nel mondo. Volevo rispondere con il mio mestiere e non solo con l’attivismo. Volevo dire a tutti noi italiani di chi siamo figli e di chi siamo nipoti, perché non è da poco essere figli di navigatori che hanno sempre salpato il mare senza mai sopraffare gli altri, senza mai prendere giovani e trasformarli in schiavi e mai per colonizzare”. “La Regia Marina – continua – ha formato tanti uomini come Todaro, un esempio per quello che ha fatto. A differenza di altri, però, non si fidava dei siluri e non combatteva sott’acqua. Restava fuori, e questo, a nostro avviso, ha reso la sua storia più interessante”.
Il Comandante – prodotto da Pierpaolo Verga, Nicola Giuliano, Attilio De Razza e lo stesso De Angelis in collaborazione con Marina Militare, Cinecittà e Fincantieri – “è un tuffo nel mare con il Cappellini e le sue microstorie ricche di paure, lingue diverse come i dialetti e i punti di vista che il cinema trattiene e compatta”, tiene a precisare sempre Veronesi. Nel frattempo assistiamo a una delle scene clou del film, iniziata con il consueto urlo “silenzio: azione!”.
“Il film – continua a raccontarci De Angelis – segue il punto di vista di Todaro, ma nel momento in cui in cui i nemici vengono accolti, l’attenzione si sposta sull’equipaggio di entrambe le parti tra conflittualità e diffidenza. Il fuoco del racconto è la contiguità forzata dei corpi e quel sommergibile diventerà così un ammasso di carne in cui i confini non si riescono più a vedere”. “Tutto, compresa questa convivenza forzata tra persone molto diverse, accade perché lo decide lui, che è un monarchico, un po’ come è tradizione nella marina”, continua Veronesi. “Todaro è solo l’epigono di una certa cultura millenaria e quando dice ‘noi siamo italiani’ non è retorica. Il soccorso in mare prima era sacro, era un sistema che non veniva mai messo in discussione”. “Todaro non era un santo”, aggiunge De Angelis, “aveva le sue debolezze, ma era capace di gesti memorabili”. Era operativo anche nel X Mas (di cui se ne è parlato a lungo in questi giorni per via del ‘caso’ Enrico Montesano), ma “non credo che tutto questo possa essere strumentalizzato pensando al presente”, sostiene Veronesi. “Quella di Todaro è una storia limpida che dice una cosa semplice: la legge del mare è superiore a quella della guerra”. La sua storia non era stata mai raccontata fino ad ora, “ma lo sfizio del cinema – dice il regista – consente di scoprire l’inconoscibile”. Sul set arriva il buio, ma a fare luce ci pensano quelle artificiali. Il senso del tempo si perde e si confonde con il presente e gli effetti speciali, “ma quelli più importanti – precisa De Angelis prima di salutarci – sono sempre la storia e la scrittura dei personaggi”.
Foto Enrico De Luigi