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Il 2022 è stato un buon anno al cinema, ma non come crede Empire
Il mensile sostiene che quest'anno ha sconvolto tutte regole “in meglio”. Ai giornalisti della rivista l’onere della prova: citano "Top Gun: Maverick" e "Everything Everywhere All at Once". Va bene, ma da quelle parti “Elvis” di Baz Luhrmann non l’ha visto nessuno? O “Triangles of Sadness”?
“2022: A Celebration”. Da non crederci. Il mensile Empire spara il titolo sulla copertina di dicembre. Sfrenato ottimismo: non pareva di aver trascorso un anno tanto notevole. Vedendo film, s’intende. Che dovrebbero essere la consolazione per tutte le cose spiacevoli a cui pensare dopo il “The End” (ma davvero gli ucraini, a poca distanza da noi, rischiano di passare l’inverno – il loro rigido inverno – al freddo, al buio e senza cibo? Modi per bombardarli con pagnotte, torce, batterie, maglioni e coperte di pile non ne abbiamo?).
Empire sostiene che il 2022 ha sconvolto tutte regole “in meglio”. Ai giornalisti della rivista l’onere della prova. “Top Gun: Maverick” per cominciare, di Joseph Kosinski. In effetti è incredibile che Tom Cruise abbia lo stesso sorriso da oltre 30 anni. Ancor più sorprendente che siano riusciti a fare un bel film anni 80, e che il pubblico abbia premiato gli sforzi. (Serve altro per dimostrare che i supereroi hanno stancato, e che gli spettatori adulti esistono?).
Altro gran successo (fatte le proporzioni): “Everything Everywhere All at Once”, per gli ottimisti il primo film del metaverso. Divertente per mezz’ora, poi comincia a stancare: il titolo va infatti preso alla lettera. Prima c’è una famiglia all’ufficio delle tasse, tartassata da Jamie Lee Curtis (a sua volta deformata da una pancia finta), un attimo dopo diventano detective, o spie, o polipi, o ballerine in un locale notturno, sempre molto versati nelle arti marziali (“Matrix” al confronto era lineare e cartesiano).
Saltiamo una serie di horror e di supereroi. Il primo “Black Panther” ci aveva appassionato, con il suo orgoglio nero e con la cura nei costumi ispirati a tutte le popolazioni, fogge diverse e scarificazioni rituali. “Wakanda Forever” è un lungo funerale con un ridicolo re anfibio dotato di orecchie a punta, calza sandali alla Mercurio, con le alucce.
Unico film non di genere, “Brian e Charles” di Jim Archer, pseudo documentario britannico su uno scienziato gallese tanto solo che si costruisce un robot ghiotto di cavoli per amico. Tenero, per carità: l’attore-robot Charles Petrescu, squadrato come la lavatrice che gli fa da corpaccione, si fa fotografare in smoking.
Ma da quelle parti “Elvis” di Baz Luhrmann non l’ha visto nessuno? O magari, per stare tra i film indipendenti, “La persona peggiore del mondo”? E “Triangles of Sadness”, ora nelle sale, seconda palma d’oro per Ruben Östlund? E “The Banshees of Inisherin” di Martin McDonagh, con i sublimi Colin Farrell e Brendan Gleeson?
“Bones and All” di Luca Guadagnino appena uscito? E “Illusioni perdute” di Xavier Giannoli? Il 2022 non è stato il migliore degli anni cinematografici possibili, ma certamente meglio di quello celebrato da Empire.
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