Premio alla comicità
L'eterno ragazzo. Il premio Mark Twain ad Adam Sandler
L'attore statunitense è un eroe della classe media. Ma gli è servito un ruolo drammatico per entrare tra gli immortali della comicità
Nel 1981 due ex-studenti dell’università di Los Angeles crearono un premio cinematografico, un anti-oscar, per premiare i peggiori film e le peggiori performance attoriali dell’anno. Col tempo questi Razzie Award sono diventati un’istituzione, e continuano a ricercare i peggiori talenti sullo schermo dei precedenti dodici mesi. Quasi mai i vincitori si presentano a ritirarli, e lo show ha una vera e propria cerimonia live, diventata una presa in giro delle grandi serate di gala al Dolby Theatre di Los Angeles. In questi quarant’anni una delle celebrità hollywoodiane che ha accumulato più nomination ai Razzies, oltre a Sylvester Stallone, è Adam Sandler, per il suo lavoro sia di attore che di sceneggiatore che di produttore. Ne conta diverse decine, ben distribuiti nel tempo.
Nato a Brooklyn, prima che fosse il tempio dell’hipsterismo veg e che la gentrification centuplicasse il valore delle townhouse intorno a Prospect Park, Sandler a cinque anni si è trasferito con la famiglia più a nord, nel New Hampshire. A Manchester, città di circa centomila persone, tra i sobborghi, figlio di due ebrei in un luogo piuttosto Wasp, Sandler deve aver sofferto. Con i suoi modi e tempi comici, che sono tra lo scherzoso, il timido e il mesto, in interviste e monologhi tira spesso fuori un’atmosfera adolescenziale al limite del bullismo, o comunque causa di grande solitudine. Forse è per questo che la famiglia, per lui, è così importante. Le sue commedie mettono sempre, sopra ogni cosa il valore della famiglia, lo stare uniti, il volersi bene all’interno del nucleo familiare o amicale. La società al di fuori è meno importante del proprio nucleo, del proprio nido, del proprio branco. In un’intervista recente ha detto: “Sono veramente dipendente dalla famiglia, quando non sono con loro mi sento depresso”.
Quando nel 2020 è uscito il film Hubie Halloween, invitato in televisione a promuoverlo, Sandler ha sempre detto che la cosa più bella è stata lavorare con la sua famiglia; sia sua moglie Jackie, che le sue figlie, Sadie e Sunny, sono nel film. La moglie, sposata nel 2003, ha partecipato in piccoli ruoli in oltre una ventina di suoi film. Famiglia e, appunto, amici sembrano essere la costante della sua carriera comica. Sandler si fa spesso affiancare dagli stessi attori, e ci sono volti, come quello di Rob Schneider o di David Spade o di Nick Swardson, che altrimenti pochi riconoscerebbero sullo schermo, se non come “spalla di Sandler”. E in tutti i film fatti da loro, spesso film ignorati dalla grande distribuzione, Sandler si palesa almeno in ruoli minori, aiutando gli amici.
Dopo alcune piccole parti in film e serie tv, mentre faceva stand-up nei locali di New York dov’era tornato per l’università, la vera carriera di Sandler è iniziata con il programma comico Saturday Night Live. Snl, appuntamento settimanale dal vivo in cui si alternano sketch comici e parodistici, è stato un grande trampolino per moltissimi, da John Belushi a Eddie Murphy, da Will Ferrell a Julia Louis-Dreyfus, e un’importante fattoria di talenti. Arrivato lì a 23 anni Sandler si era fatto notare per due cose: fare le vocine sceme e cantare con la chitarra canzoni inventate da lui. La sua comicità sembrava basata sull’esagerazione emotiva, sulle risposte rabbiose o sul mimare presunti ritardi mentali, mostrando una generica tontaggine e infantilità. Nessuna sofisticatezza, nessuna chiara presa di posizione politica.
Nelle canzoni, invece, c’era qualcosa di più, come in quella che poi diventò la famosa Hanukkah Song, una canzone scritta per controbilanciare il surplus di musica natalizia. “Quando pensi di essere l’unico bambino ebreo senza un albero di Natale, ecco una lista di ebrei proprio come me e te”, inizia la canzone, e continua facendo un elenco di ebrei famosi del mondo dello spettacolo, da Kirk Douglas ad Henry Winkler, il Fonzie di Happy Days. Negli anni sono state scritte altre versioni, aggiornando la lista con personalità più contemporanee. Anche in questo, nel bisogno non solo di mostrare l’orgoglio tribale, ma nel cercare di aiutare quei bambini ebrei cresciuti in ambienti cristiani, c’era un sottotono di tristezza e di malinconia. E una forma di rivincita, nell’appartenenza alla comunità israelitica, così ricca di celebrities – con buona pace per Kanye West.
Nel 1995, dopo cinque anni come membro fisso del cast, Sandler viene licenziato da Snl. Invitato a tornare sul palco di Rockfeller Plaza nel 2019 come ospite principale, ha cantato una canzone sull’evento, rivelando, con un po’ di amarezza, che si trattò di una sorpresa inaspettata. Ha usato, scherzando, i miliardi che ha guadagnato negli anni, per far vedere che forse avevano sbagliato a mandarlo via. Tutto è iniziato col film Billy Madison, da lui scritto e interpretato, che è arrivato primo al botteghino. Il film racconta di un quasi trentenne viziatissimo che, per dimostrare di poter prendere le redini della ricca azienda di famiglia, deve rifare tutte le scuole, dalle elementari al liceo. E’ contrastato però dalle mire del cattivo vicepresidente, che vorrebbe prendere il controllo di tutto. Si innamora dell’insegnante, riesce nel suo intento ma poi alla fine lascia comunque la guida dell’azienda al collaboratore buono e gentile, dicendo che andrà al college per diventare un insegnante. E’ un film, come saranno poi anche gli altri che scriverà, profondamente moralista. Rientra alla perfezione nei canoni americani di success story, dove la dicotomia bene/male è fortissima, dove non c’è alcun dubbio, mai, su chi è nel torto e chi nella ragione.
Il successo di Sandler è stato, da Billy Madison in poi, una costante della sua carriera. Le sue pellicole, negli anni, hanno incassato un totale di circa quattro miliardi. Una cifra molto alta, che lo posizionano tra i comici più ricchi di sempre. E, costante come il successo, la critica lo ha sempre attaccato, bollandolo come demenziale, e sottolineando le sue pessime capacità attoriali.
I film di Sandler possono essere, in un certo modo, assimilabili ai cinepanettoni, o un suo rimpiazzo più recente, i film di Checco Zalone. Un volto riconoscibilissimo che ci dà conforto perché sappiamo più o meno cosa aspettarci, e un livello di comicità dal valore variabile, ma comunque godibile se non si hanno molte pretese, con molte situazioni fisiche, e molte prese in giro. La storia è sempre simile a sé stessa, il protagonista cambia attraverso un’avventura o una storia d’amore che lo fa crescere, e valorizza sempre i valori della famiglia e dell’amicizia, contro i cattivi avidi, che sono spesso molto soli, senza affetti. Il protagonista impara sempre una lezione, cresce, migliora, ma in fondo rimane sé stesso, e sconfigge i suoi nemici, che ci sono sempre, immediatamente identificabili come tali. E’ quasi favolistico. Non la rivincita del secchione, ma la rivincita del coglione (ma del coglione con buone intenzioni). La bontà d’animo vince anche sull’intelligenza.
Cantante ai matrimoni, gestore di una piccola pizzeria, segretario, cuoco, giocatore di football, giocatore di hockey, pompiere, i mestieri del protagonista non sono mai sofisticati. Col tempo c’è un imborghesimento, ad esempio in Click finisce anche a fare l’architetto, ma in generale il ruolo è quello di un average joe, di una persona che lavora, vicino e attento alla comunità da cui è circondato. Forse è anche per questo che la critica non l’ha mai amato, perché c’è un costante scredito delle figure snob o troppo sofisticate o accademiche, e una celebrazione della classe media lavoratrice senza alcuna lettura sociologica vagamente marxista. Nel remake che ha fatto del film di Capra, Mr. Deeds, che ha un finale simile a Billy Madison, il protagonista difende i valori rurali della cittadina dove vive di fronte a una tavolata di intellettuali e artisti newyorkesi, cena che finisce a cazzotti. Gli intellettuali fanno la figura degli idioti, lo scemo del villaggio invece diventa l’eroe, col cuore puro.
Sandler non parla spesso di politica, in generale sta lontano da dichiarazioni che non abbiano a che fare con il suo lavoro, ma in passato è stato registrato tra i Repubblicani e ha partecipato alla National Convention del 2004 del GoP, donando anche dei fondi per l’allora candidato Rudy Giuliani, prima che la vicinanza a Trump portasse via ogni credibilità all’ex sindaco di New York. E’ chiaro che i valori espressi dai film di Sandler non rientrano nelle classiche caselle della Hollywood liberal, pur rientrando però in uno schema narrativo da american dream che emoziona le folle di quasi tutti i colori politici.
Per tornare all’amicizia, grande tematica sandleriana, passati gli anni in cui poteva fare il giovane, oltre all’imborghesimento c’è stato il tema, tanto caro agli americani, della ritrovata gioventù attraverso i giochi con gli amici di sempre. In Grown ups, tradotto in italiano con Un weekend da bamboccioni (sic), che ha incassato quasi 300 milioni (e poi di nuovo nel suo sequel, Grown Ups 2, o Un weekend da bamboccioni 2) il protagonista ricrea le emozioni di quando lui e gli amici del liceo vincevano i tornei di baseball. Un’ode alla vita semplice, nella natura, e al divertimento fisico, puerile ma ricco di valori. E poi un messaggio chiaro: anche se siamo adulti possiamo goderci ancora la vita come facevamo da ragazzi, con i nostri amici d’infanzia, e insegnare a giocare ai nostri figli.
Nonostante il livello comico sia spesso arrivato molto in basso, come in Jack e Jill, del 2011 (dieci Razzie Award vinti, in tutte le categorie, un record), dove interpreta anche la coprotagonista femminile, con trucco e protesi, nel 2019 diversi giornali e critici si sono indignati che Sandler fosse stato snobbato agli Oscar. Il film per cui avrebbe dovuto ricevere la nomination era Diamanti grezzi, drammatico, ovviamente, dove tutti l’hanno rivalutato come un grande attore. Non c’è niente che l’industria cinematografica, e i fan, amino più di una storia di rivendicazione, un cortocircuito che fa impazzire proprio per un’imprevedibilità introvabile nelle altre sei arti.
“Avete visto, in realtà Adam Sandler era un attore di grandissimo talento”. E’ anche un modo per dire che è il regista a tirare fuori la bravura dagli attori mediocri, così come si era detto con Ray Liotta quando Scorsese l’aveva scelto per Quei bravi ragazzi. In realtà ci aveva già provato Paul Thomas Anderson, con Punch-Drunk Love, a trasformare Sandler in un attore drammatico, mettendolo a lavorare accanto a Philip Seymour Hoffman, ma il risultato era stato mediocre. E poi di nuovo, con lo stesso risultato, ci ha provato Noah Baumbach con il film Netflix The Meyerowitz Stories. In mezzo a questo cortocircuito, però, c’è l’operazione del regista Judd Apatow, che decise di usare Sandler al centro di un film, Funny People, del 2009, facendogli interpretare una versione romanzata di sé stesso: un comico dal successo grandioso, che potrebbe avere tutto quello che desidera ma che, scoprendosi malato, si rende conto di non avere amici e di aver perso l’unica donna che amava. Questo mostrare direttamente, esplicitamente, la tristezza sotto alla maschera comica, un topos che tendenzialmente viene lasciato implicito – “non c’è niente di più comico dell’infelicità”, diceva Beckett – è l’altra chiave per leggere l’opera e il personaggio di Sandler: malinconia, traumi, senso di rivincita. Tipo: faccio il buffone per via dei traumi infantili, il successo è un gigantesco “fuck you” a chi mi prendeva in giro a scuola.
Qualche giorno fa è stato annunciato che il Mark Twain Prize for American Humor nel 2023 andrà proprio ad Adam Sandler. Si tratta dell’unico vero premio istituzionale dedicato alla comicità, un riconoscimento non per un’opera, ma, come il Nobel, per una carriera. Esiste dal 1998 e l’obiettivo è inserire nella storia chi ha “avuto un impatto sulla società americana simile a quello dell’illustre scrittore Mark Twain”. La lisa di persone scelte è emblematica per capire l’evoluzione della comicità nel paese, si parte con Richard Pryor, e si passa per Bill Murray e Billy Crystal. Alcuni di questo ristretto club sono stati politicamente impegnati e fedeli alla tradizione della stand-up, come George Carlin e Dave Chappelle, altri hanno avuto una presenza quotidiana nel paese attraverso la televisione con i late show, come Jay Leno, David Letterman o Jon Stewart. Non c’è dubbio che siano diventate delle icone, dei veri pezzi di storia dell’intrattenimento americano.
Sandler non è certo il primo a essere cresciuto dentro Snl, o il primo ad aver fatto i milioni coi film – ci sono anche Will Ferrell ed Eddie Murphy – ma è il primo ad aver sempre mantenuto più o meno lo stesso livello di comicità dagli esordi. E anche a vestirsi sempre uguale, con felpone o magliettoni delle squadre di basket di colori sgargianti, sempre in pantaloni corti e piumini oversize che appaiono spesso nelle foto dei paparazzi. L’abito fa il comico. Sandler è come se non fosse mai cresciuto. Ed è interessante per capire come funziona il processo di accettazione non solo del pubblico ma anche delle istituzioni, perché per ricevere questo alloro sulle orme dell’autore di Tom Sawyer, Sandler l’ha dovuto baciare Talia, la musa della tragedia, dopo una vita in compagnia di Melpomene, quella della commedia. Ha dovuto ottenere il riconoscimento della drammaticità per avere il suo posto tra gli immortali della commedia.
Effetto nostalgia