balla l'india
Un Golden Globe alla musica, tre ore di film e non sentirle. Per “RRR” un successo planetario
La pellicola di S. S. Rajamouli riesce ad appassionare anche spettatori (come noi) che sanno poco o nulla del colonialismo inglese in India. Ha già incassato 154 milioni di dollari (e si lavora a un seguito)
L’inglese è l’unica lingua con cui un indiano può rivolgersi a un altro indiano senza offenderlo. Lo diceva Salman Rushdie, quando per nemici aveva solo gli anticolonialisti nemici della lingua che (per esempio) aveva cancellato la professione di “interprete dei malanni”, che aiutava il medico a tradurre i sintomi (è in un racconto di Jhumpa Lahiri, periodo inglese). Del telugu – una delle 22 lingue indiane riconosciute ufficialmente, parlata da oltre 95 milioni di persone – niente sapevamo fino alla serata dei Golden Globe, martedì scorso. Quando “Naatu Naatu”, uno dei brani musicali candidati, ha battuto Lady Gaga, Rihanna e Alexander Desplat.
La nebbia si dirada, almeno un po’, se diciamo il titolo del film: “RRR”, che sta per “Rise, Roar, Revolt”: “Rialza la testa, ruggisci, ribellati”. Qualcuno l’avrà visto su Netflix, da un po’ se ne parlava. Bisognava resistere alla regola numero 1 dei film indiani: lunghezza di almeno tre ore e molta musica, anche se il genere è avventuroso o poliziesco. Se invece è un film d’amore, c’è la scena del “sari bagnato” (dall’acqua di una fontana, sempre durante una scena di ballo): sostituisce i nostri baci, vietatissimi.
“Naatu Naatu” in telugu vuol dire “Balla balla”. Poi il film è stato doppiato in hindi, tamil, malayalam e altre lingue indiane: mossa indispensabile per portare a casa i 72 milioni dollari spesi, il film indiano più costoso di sempre. I sottotitoli inglesi e il lancio Usa hanno fatto il resto, assieme a Netflix e ai premi. Ha appena vinto come film straniero, oltre che per l’irresistibile brano – guardatelo su YouTube, se non avete pazienza: ma date un dolore al regista che ha rifinito i 183 minuti della sua creatura – il Critics’ Choice Awards. Era candidato ai Golden Globe anche come film straniero (ha vinto “Argentina, 1985” di Santiago Mitre), e finora ha incassato 154 milioni di dollari. Rientro generoso del budget investito, e garanzia di un seguito (ci stanno già lavorando).
Il regista S. S. Rajamouli (anche sceneggiatore, figlio d’arte) dice di aver avuto l’idea guardando “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino. “RRR” prende spunto da due eroi dell’indipendenza coloniale realmente esistiti, e si prende tutte le libertà che servono per appassionare gli spettatori che poco o nulla sanno. Noi, per esempio: la lunghezza non pesa e si imparano le tecniche per sfuggire alle tigri. In una tribù viene rapita una bambina, in cambio gli inglesi lasciano due monete. Offesissimo, muscoli da supereroe, il guardiano del villaggio parte per Delhi. In incognito, si finge musulmano, giura di riportarla indietro. Salvando un bambino da sicura morte – cisterna che esplode sul ponte, fiamme dappertutto, acrobazie mai viste – stringe amicizia con un superpoliziotto dell’esercito imperiale in borghese. Ignari dei rispettivi ruoli, ballano fino allo sfinimento e corteggiano le pallide inglesi. La rivelazione, anticipata in musica, mette i due eroi uno contro l’altro. Altri clamorosi colpi di scena attendono, anche gli eroi hanno avuto un’infanzia disastrata.