LE CANDIDATURE DELL'ACADEMY
Arrivano gli Oscar e il primo da consigliare è un film tutto di maschi
Colpevolmente trascurato "Babylon", mentre della pellicola che ha ricevuto più candidature nessuno saprebbe raccontare la trama. Breve guida per arrivare preparati al 12 marzo
Del film che ha più candidature ai prossimi Oscar – il prossimo 12 marzo – nessuno saprebbe raccontare la trama. Fatta eccezione, forse, per i registi Dan Kwan e Daniel Scheinert e qualche nerd che ha preso appunti durante la fantasmagorica avventura. Nel metaverso, si direbbe. “Everything Everywhere All at Once” comincia da una lavandaia cinese, prosegue all’ufficio delle tasse dove Jamie Lee Curtis imbruttita contesta le cifre. La cinese obbedisce a un comando che dice “scambia i piedi nelle scarpe”, e precipita in una serie di universi alternativi. Hollywood (vabbè). Un pianeta dove le dita sono salsicce. Un pianeta deserto, la cinese e il marito sono sassi che parlano con i sottotitoli. Undici candidature, per un giocattolo che ricatta fingendosi all’avanguardia. Nove candidature sono andate a un film Netflix di produzione tedesca (c’è Daniel Brühl, il regista ha “Deutschland 83” in curriculum). Tratto dal romanzo di Eric Maria Remarque: la sporca grande guerra, vista dai giovani tedeschi partiti per il fronte con slancio patriottico.
Nove candidature anche per il primo film da consigliare a tutti. Purché amino il cinema, i dialoghi smaglianti dello sceneggiatore e regista Martin McDonagh, la bravura di Colin Farrell. In “Gli spiriti dell’isola” (per gli spettatori italiani che lo vedranno dal 2 febbraio) fa coppia con Brendan Gleeson, altrettanto bravo ma relegato – senza motivo, hanno gli stessi primi piani – tra i non protagonisti, assieme al giovane Barry Keoghan visto in “Dunkirk” di Christopher Nolan. Sono amici, in un’isola sperduta dell’Irlanda, finché Brendan Gleeson dice a Colin Farrell: “Mi annoi, non ti voglio vedere più”. In giro non si scorge anima viva, oltre al barista che al pub serve le birre. “Gli spiriti dell’isola” è un film tutto di maschi, piuttosto rudi (le banshee nel titolo originale sono creature leggendarie che annunciano lutti). I film di donne – su dieci titoli candidati nella categoria miglior film – sono due. “Women Talking” di Sarah Polley, dal romanzo di Miriam Toews “Donne che parlano” (Marcos y Marcos). Donne narcotizzate con lo spray per le mucche e poi stuprate, in una comunità di Mennoniti in Bolivia.
L’altro titolo è “Tár” di Todd Field con Cate Blanchett, superfavorita come migliore attrice (sarebbe il terzo Oscar). Ha imparato a suonare il pianoforte e ha studiato per sembrare una credibile direttrice d’orchestra (Mahler, sinfonia n. 5, lo studio del tedesco deve esserle sembrato una vacanza). Lesbica, con la battuta pronta, Lydia Tár – quella reale si chiama Linda Tár – fu la prima donna a dirigere la Berliner Philharmoniker. Certo non la prima che, trovandosi al potere, non era né gentile né corretta con i sottoposti, e le sottoposte. Da qui le polemiche.
I membri dell’Academy – un po’ ringiovaniti e un po’ rimescolati – non hanno dimenticato il travolgente “Elvis” di Baz Luhrmann e il suo magnifico attore Austin Butler. Né si sono lasciati sfuggire “The Fabelmans”, dove il regista Steven Spielberg racconta i suoi filmini casalinghi (con sorpresa, alla moviola si notano cose che l’occhio non aveva visto). C’è il vivace “Top Gun: Maverick” e purtroppo anche l’ultimo e acquatico “Avatar”. Colpevolmente trascurato “Babylon” di Damien Chazelle. Ha avuto solo tre candidature di contorno: costumi, scenografie, colonna sonora di Justin Hurwitz. Scandalosa e colpevole dimenticanza: ha una regia clamorosamente raffinata, e il regista firma anche la sceneggiatura originale, sfornando idee a ripetizione. Margot Robbie e Brad Pitt sono bravissimi. Forse a Hollywood non vogliono sapere che l’industria è nata nel peccato, e non c’erano artisti in giro.
Politicamente corretto e panettone