spunti d'inventiva
Pensieri spettinatissimi di Monica Vitti, che inventò ricordi ridendoci su
Un libro "surrealista e animista", pieno dell'entreccitià propria dell'attrice. Lei nelle fantasie racconta che "le fanno male i capelli", descrive i suoi sogni e ancora parla degli psicoanalisti, "migliorabili. Dovrebbero saper piangere". Un volume che contiene più idee di tanti film italiani in sala
Memorie di una smemorata, e pure distratta, che ricorda bene solo le parole dei copioni. Colpa degli ammonimenti materni: “Non devi ascoltare i discorsi dei grandi, se per caso afferri una parola la devi subito dimenticare”. Per feroce scherzo del destino, Monica Vitti fu afflitta da una malattia che con la sbadataggine comincia, e isola dal mondo. Ma qui siamo nel 1995. A più di un anno dalla morte dell’attrice, il 2 febbraio dell’anno scorso, Mondadori ha ristampato “Il letto è una rosa”. Pensieri spettinatissimi, scritti con l’aiuto di un panino al prosciutto, una mela annurca, un caffè o un cono gelato – l’attrice scrive tra spuntini e visite al frigorifero.
In queste fantasie adattate a ricordo, Monica Vitti racconta che “mi fanno male i capelli” – la battuta più spernacchiata nella storia del cinema d’autore – è autobiografica al cento per cento. E che anzi, tutto il film “Il deserto rosso” ha origine da una sua depressione, cinematograficamente corretta perché al suo compagno Michelangelo Antonioni era venuta l’ispirazione. Considerato il contesto, potrebbe essere uno scherzo a scoppio ritardato ai danni di noi spettatori (noi, tutti noi, erano film obbligatori, non si poteva sfuggire: e se qualcuno riusciva nell’impresa non poteva dire di aver davvero conosciuto la noia).
La mamma invitava a dimenticare le parole degli adulti. Monica Vitti attrice e adulta – nel 1995 aveva ricevuto il Leone d’oro alla carriera alla Mostra di Venezia – compone un libro folle. Addirittura inventa il titolo di un film: “Pareti bianche e occhi azzurri”, che dovrebbe essere in fase di montaggio. Molto in ritardo sulla tabella di marcia. Questi ricordi inventati funzionano spesso come sogni. Un inseguitore misterioso si avvicina, e Monica (o meglio, la narratrice) si accorge che il bruto non porta calzini bensì calze di seta. Proprio come la mamma apparsa prima nello stesso incubo.
Dai sogni agli psicoanalisti è un attimo. Monica Vitti, come molti di noi, li trova migliorabili. Facile stare zitti, dovrebbero invece ascoltarti e piangere tutte le loro lacrime, quando le circostanze lo richiedono. Oppure aiutarti con l’idraulico e altre più prosaiche esigenze. Continua imperterrita a raccontare storie che avrebbero fatto la felicità di Freud. O di Luigi Pirandello. O di uno scrittore specializzato in parodie. Chi sogna è in piedi, su tavole da palcoscenico, e qualcuno ordina “Dovete farci ridere”.
La madre svolta l’angolo, la figlia la insegue, tutto appare diverso dal solito, di familiare c’è solo il profumo di una pasticceria, e la ragazzina si fa una scorpacciata. Di nuovo la golosità, al tavolo di lavoro e nei ricordi. La smemoratezza fa pensare che siano soltanto fantasie letterarie.
“Negli anni Sessanta, con Michelangelo Antonioni, ho ispirato l’‘alienazione’, quanto di più lontano ci sia da me”. E subito aggiunge: “Lo spero”. È l’unico spiraglio “personale” che Monica Vitti si concede in questi scritti – i comici nella vita sono tristi, ma le signore preferiscono sfuggire alla regola.
Un libro “surrealista e animista”, scrive Giovanni Mariotti presentando l’edizione del 1995. Lui scrisse un romanzo intero, “Matilda”, senza mai usare punteggiatura. Bizzarria chiama eccentricità, quando ne circolavano in abbondanza. Quando la letteratura era un campo da gioco, non una valle di lacrime. Vale come constatazione, e come invito a invertire la rotta: mica siete diventati scrittori leggendo storie strappalacrime (e non oserete costringere la generazione che viene a credere che la letteratura sia confessione). C’è anche un copione: “Capodanno con il morto”. Contiene più idee di tanti film italiani in sala.
Politicamente corretto e panettone