stasera su rai 5
Zeffirelli, il “conformista ribelle” raccontato da Anselma dell'Olio
Cento anni fa nasceva a Firenze l’artista italiano più conosciuto al mondo dopo Toscanini ma bistrattato in patria. La regista gli rende giustizia dedicandogli un documetario presentato a Venezia e già in lizza per i David di Donatello e i Nastri d’Argento
Firenze vista dall’alto con alcuni dei suoi monumenti e simboli più riconoscibili, le sue luci e i suoi colori che svaniscono di colpo per lasciare spazio al bianco e nero, all’acqua dell’Arno e al fango su cose e persone in quel tragico novembre del 1966, per i fiorentini e non solo. Vogliamo pensare che Anselma Dell’Olio abbia scelto volutamente di iniziare con queste immagini “Franco Zeffirelli, conformista ribelle” - il documentario che ha dedicato al regista, sceneggiatore, scenografo e politico italiano (ma sarebbe più corretto definirlo “artista” tout court) - per mostrare al meglio a tutti chi era e come era lui veramente.
La luce e il buio che si incontrano e si scontrano per poi trovarsi in equilibrio; il giorno e la notte di uno Scilla e Cariddi delle arti e della cultura, idolatrato all’estero e poco amato in Patria, con la sola eccezione delle sue opere liriche, per le quali in Italia ha avuto una minima parte degli onori, del rispetto, della gloria e della venerazione che lo circondavano altrove. I contrasti che hanno coinvolto e stravolto Firenze e quelli (onni)presenti nella vita del “maestro’, come lo chiamavano i più, o semplicemente “Franco” i suoi amici più intimi che erano Adriana Asti, Franca Valeri, le gemelle Kessler, Jeremy Irons, Maggie Smith, Placido Domingo, Maurizio Millenotti, Luca Verdone, Caterina D’Amico e molti altri che ritroviamo - in parte - anche in questo documentario che potete vedere questa sera su Rai 5, prodotto da La Casa Rossa di Francesca Verdini e RS di Pietro Peligra in collaborazione con Rai Cinema e il patrocinio della Fondazione Franco Zeffirelli Onlus presieduta da Pippo Zeffirelli. C’è ovviamente anche lui in questo piacevole quanto necessario concerto a più voci che intreccia film e materiali di repertorio con gli archivi fotografici, i ricordi e le interviste fino ad addentrarsi nell’enigma di un artista amante delle polemiche e delle provocazioni, un irregolare che guardava sempre avanti avendo un’ampia visione sulle arti del cinema e dello spettacolo prima che avvenissero e, quindi, prima di tutti gli altri.
Dalle sue origini come figlio di N.N. alla conquista di una grande fama internazionale come regista, art director, pittore, ideatore di cinema, teatro e opera lirica, Zeffirelli poteva sembrare – e lo era – “un inarrestabile farfallone” come lo ha definito Riccardo Tozzi, ma in realtà aveva delle grandi profondità che nascondeva molto bene. Qui entra in gioco la capacità di Anselma Dell’Olio che con questo film - presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e in lizza per i David di Donatello e i Nastri d’Argento – è riuscita in un’impresa non certo semplice: gestire la carriera di Zeffirelli distillando una quantità enorme di opere e regie facendo emergere la persona che è stato e che resta nella memoria di molti grazie proprio ai suoi lavori. Uno studio matto e disperatissimo - quello della regista (alla sua terza ‘prova’ dopo La Lucida Follia, dedicato a Marco Ferreri, e Fellini degli Spiriti al regista riminese) e continuo, fatto per giorni e mesi nella sua stanza tutta per sé dove solo le sue amate bassottine e la meravigliosa Weimaraner (talvolta, ma spesso neanche loro) potevano entrare, (figuriamoci il marito!), per analizzare, studiare e informarsi, guardare i film, le opere, riguardarle di nuovo e rileggere fino allo sfinimento tutto ciò che potesse riguardarlo, costruendo così un mosaico emozionale e variegato capace di arrivare al meglio nell’intimità più profonda zeffirelliana, cosa che lui, in tutta la sua vita, non ha mai permesso. Sì, perché Zeffirelli era innamorato del mistero, non parlava molto di sé e quel poco che provava non lo mostrava. O meglio: decideva lui se, quando e a chi mostrarlo. Le ire e gli scazzi, è il caso di dirlo, c’erano, ma come arrivavano, così se ne andavano via o restavano per sempre.
Aveva un caratteraccio, questo sì, ma era estremamente positivo, una persona che ha vissuto tantissime avventure, positive come negative, ma che riuscì sempre, con un buon umore di fondo, a girare queste ultime e a farle diventare delle forze, esattamente come fa la regista americana di origini pugliesi metafisicamente nel suo quotidiano. White Lights. Quando Zeffirelli ruppe Visconti, ad esempio, a cui fu legato sentimentalmente per cinque anni, ricevette in cambio una guerra spietata e il vuoto attorno, ma lui ne uscì comunque vincitore, divenendo famosissimo all’estero, l’artista più conosciuto al mondo dopo Toscanini. Se Ferreri era un folle lucido, un pazzo che non era pazzo, e Fellini l’innamoramento del mistero, Zeffirelli era davvero un conformista ribelle: omosessuale e cattolico, democristiano prima e berlusconiano poi (nel cinema italiano, quindi immaginate), buono e cattivo a suo modo, l’autore temuto quanto adorato e il tifoso sfegatato della Fiorentina, l’amico di Cher, Liz Taylor, Richard Burton, Bernstein, Laurence Olivier, di re, regine e principesse (Lady Diana su tutte) e Judi Dench, ma anche e soprattutto l’uomo molto più umano di quanto si potesse pensare. Giustizia è stata fatta, almeno in parte: ora starà a tutti noi non dimenticarlo di nuovo.