nuove regole
Al cinema "basta drammi": meglio i film indipendenti. È la legge del mercato, bellezza
Tutto ciò che viene percepito come impegnato, annoia. E allora avanti con storie e produzioni originali, magari con una connotazione di genere: horror soprattutto, con tanto di spiriti e demoni
Produttori, finanziatori, compratori e distributori – riuniti all’European Film Market che dal 16 al 22 febbraio affianca la Berlinale – hanno le idee chiare. “Basta drammi”. Parlano dei film che vedremo nei prossimi mesi. Delle sceneggiature che andranno in produzione, con buone chance di trovare soldi e pubblico. E delle sceneggiature che resteranno sulle scrivanie, passando di mano in mano senza che nessuno le trattenga. Avviare certe produzioni, ammesso che si trovino i soldi, è un rischio che nessuno vuol correre. Parliamo, naturalmente, di cinematografie dove esiste il rischio d’impresa e non tutto è coperto prima che il film vada nelle sale.
Su Screen International, Geoffrey Macnab riporta le parole di Stephen Kelliher, direttore marketing della Bankside Film di Londra, che finanzia e distribuisce film indipendenti. Per esempio “The Quiet Girl”, nelle sale italiane dalla scorsa settimana e candidato all’Oscar come film straniero. Parlato in gaelico, tanto per minare ancora l’appeal commerciale. E dunque, spiega Kelliher: “Il pubblico non vuole più nulla di deprimente, e nulla che sia percepito come impegnativo. Neanche se il film è girato benissimo, viene scelto dai festival di serie A e diventa il beniamino dei critici”. Vanno invece il film di genere – horror, thriller, commedie romantiche – “purché siano diretti da registi con uno stile riconoscibile”.
Non servono neppure un gran cast o un gran budget. Facendo un esempio americano, sono i film che hanno fatto la fortuna della casa di produzione A24 – la leggenda vuole sia stata fondata percorrendo l’autostrada Roma-Teramo – che hanno dato uno scossone al mercato statunitense. Primo film distribuito, nel 2013, “Spring breakers - Una vacanza da sballo” di Harmony Korine. Primo film prodotto, “Moonlight” di Barry Jenkins: nel 2017 vinse l’Oscar come miglior film (e questo era irrimediabilmente “dramma”). In mezzo, una serie di horror intelligenti, e un gran film trascuratissimo come “Red Rocket” di Sean Baker.
I drammi non li vuole più nessuno, ma il film indipendenti sì, il prodotto è ancora richiesto. L’ultimo miracoloso titolo è l’australiano “Talk to me” diretto dai debuttanti Daniel e Michael Philippou. Senza star, e già comprato da A24 che lo distribuirà negli Stati Uniti (in Italia è nel catalogo Koch Film). I soliti amici annoiati trovano una mano imbalsamata e imparano a evocare i demoni ma, come sempre capita agli apprendisti stregoni, non riescono a fermarli. Insomma: niente drammi realistici, deve essere l’effetto della pandemia. Via libera a ogni storia soprannaturale, paranormale, piena di spiriti e altre creature demoniache. Noi subito chiameremmo i “Ghostbusters” (rivedere, per capire, l’indemoniata Sigourney Weaver: i registi di horror spiritosi esistono, questo di chiamava Ivan Reitman).
In Italia, Nanni Moretti sta girando un film ambientato in un circo, tra gli anni 50 e i 70. L’ambiente potrebbe sembrare deprimente – così sembrava a noi, dal vivo: c’era puzza di elefanti, segatura dappertutto e si tornava a casa con i piedi congelati. Ma sarà sicuramente meno drammatico delle storie tratte da “Tre piani”, libro dell’israeliano Eshkol Nevo. Sullo schermo erano scialbe e sciatte, e con la tristezza rompevano il misuratore di noia. Gabriele Salvatores risponde con “Il ritorno di Casanova”, nel cast Fabrizio Bentivoglio e Toni Servillo (una particina per Favino proprio non si trovava?). Altro racconto, di Arthur Schnitzler, che certo non mette allegria (se non per il fatto che, nel Settecento, Giacomo Casanova era considerato vecchio già a 53 anni). Buona fortuna. La letteratura, anche osé, senza Ficarra & Picone non incassa.