Morte del cinema?
I film a mid budget sono scomparsi dalla scena di Hollywood
Il concetto è molto semplice: c’è chi i soldi li vuole spendere e chi li vuole solo accumulare. I primi, di solito, fanno la storia. Nella nuova industria cinematografica molti capolavori non potrebbero trovare più posto
Il 5 marzo, ritirando un premio alla carriera, lo sceneggiatore e regista Charlie Kaufman ha fatto un discorso che ha rilanciato la polemica di Martin Scorsese sulla morte dei film a medio budget. I produttori, per Kaufman, “ci hanno ingannato convincendoci che non possiamo fare a meno di loro. La verità è che loro, senza di noi, non possono fare niente che valga qualcosa”. Parole elevate che mi costringono a riportare la questione al mio livello terra terra. Cos’è, quindi, un film a medio budget? Una produzione è mid budget quando i suoi costi oscillano più o meno tra i 4 e i 75 milioni di dollari.
Fino al 2008, anno che segna la nascita del Marvel Cinematic Universe, l’idea di fare un film abbordabile, senza uomini volanti e portali che sputano alieni, era non solo possibile, ma anche remunerativa. Con un investimento iniziale contenuto, infatti, era piuttosto probabile rifarsi al botteghino e moltiplicare i guadagni grazie all’home video, al mercato estero e a quello dei diritti televisivi. Da quando hanno cominciato a imporsi film come “Avengers: Endgame” (400 milioni investiti, quasi 3 miliardi incassati), il banco è saltato e ormai i produttori cinematografici hanno solo due strade: finanziare capolavori low budget come “The Woman Who Left” di Lav Diaz (un conte di Montecristo al femminile ambientato nelle Filippine di fine anni 90: quasi quattro ore di film al costo di 76 mila dollari) o puntare centinaia di milioni sui supereroi. In questo scenario, i seguenti film a medio budget non sarebbero mai esistiti:
“To Die For” (budget 20 milioni, incasso 41). Capolavoro di Gus Van Sant in cui Nicole Kidman, illuminata dai fari di un’automobile, fa un balletto sexy per convincere un giovane Joaquin Phoenix (afflitto da gravi Dsa, forse frutto di un’irrefrenabile voglia di figa) a uccidere suo marito. L’epopea di una donna ignorante e ambiziosa, pronta a tutto per il successo in tv. Anche all’omicidio. P. S.: non è un documentario.
“Boogie Nights” (budget 15 milioni, incasso 43). I miei amici e io eravamo venuti a sapere che nel film si passava dai costumi anni 70 a una replica dei look anni 80 che sfoggiavamo anche noi. Per l’epoca, era una cosa inaudita: Hollywood riconosceva l’ironia come arte. Anche se mi ero assicurato l’invito (plus one) alla prima, ero talmente preoccupato che i biglietti non arrivassero in tempo che partecipai a una specie di lotteria e ne vinsi altri due. Quando seppero che avevo tre biglietti in più, i miei amici cominciarono a corteggiarmi, promettendomi in cambio cene e concerti. Sembrava una trattativa per liberare degli ostaggi. I tre negoziatori più abili mi accompagnarono in una sala che vibrava di entusiasmo. Accogliemmo l’entrata in scena di Marky Mark/Mark Wahlberg con una pioggia di applausi e cat calling.
“Happiness” (budget 3 milioni, incasso quasi 6). Un film comico che scherza su immigrazione e pedofilia. Nel 1998 era considerato un capolavoro, oggi la polizia postale ne intercetterebbe le copie digitali.
“Zero Dark Thirty” (budget 52 milioni, incasso 134). Le note spesa di Jessica Chastain per assassinare Bin Laden sono talmente alte che fanno incazzare il governo americano, il cui hobby preferito per far vedere alle altre nazioni che “io sì, tu no” è fare missioni interplanetarie con astronavi che esplodono con la regolarità di treni svizzeri.
“Casino” (budget 52 milioni, incasso 110). Sharon Stone in pelliccia bianca preleva i suoi stupefacenti dalle mani di un usciere che apre le porte di una foresta incantata di roulette e malavita. Lei la attraversa sulle note dei Roxy Music, attirando gli sguardi di tutte le bestie. All’epoca mia sorella viveva in Nevada e, neanche un anno dopo l’uscita di “Casino”, mi fiondai sognante a Las Vegas. A tutt’oggi, la più grande delusione della mia vita.
Se fossi comunista, sarei più credibile. Ma il mio unico scopo nella vita è potermi permettere del personale che coltivi orchidee e cataloghi la mia biancheria in base alla città giapponese di provenienza, quindi come contestatore del capitalismo rischio di non essere convincente. Il discorso però è davvero semplice: c’è chi i soldi li vuole spendere e chi li vuole solo accumulare. I primi hanno prodotto gli esordi di Robert De Niro, che grazie ai film a medio budget è finito nei libri di storia. I secondi, al massimo, finiranno in quelli di economia domestica.