Cannes 2023
L'impassibile Luigi XV di Johnny Depp, che a Cannes ruba la scena a tutti
Al Festival gran folla per il cortometraggio western di Pedro Almodóvar, delude invece “Occupied City”, di Steve McQueen
Uscendo da una proiezione, verso mezzogiorno, c’era da scavalcare una cinquantina di adolescenti spiaggiati sull’asfalto, primi nella rush line per i senza biglietto. Vogliono vedere Pedro Almodóvar e il suo cortometraggio western, titolo internazionale “Strange Ways of Life”. Avevamo chiesto il titolo con la speranza di scoprire i gusti dei tiktoker, magari un nuovo “Aftersun” che tanto è piaciuto, con il padre depresso e la figlia in vacanza, i video con il cellulare, le vecchie giostre e un carico di malinconia che evidentemente ha i suoi cultori.
Tre ore secche mancavano alla proiezione del sospirato Almodóvar, e per i biglietti non c’è mai stata speranza: era completo un minuto dopo l’apertura delle prenotazioni. Cose che succedono quando tra i produttori c’è il marchio Saint Laurent: non cerca spettatori, solo la luce riflessa del mecenatismo.
Sembra che neppure i compratori del Marché riescano a prenotare nulla. E anche muniti di biglietto si sta in coda, piacciono evidentemente le foto dell’umanità accalcata: guardate quanti siamo, eppure “quest’anno abbiamo tagliato migliaia di accrediti”, conferma il direttore Thierry Frémaux. Aggiungendo appena in tempo “ma nessun giornalista”.
Nel programma deciso per noi dall’algoritmo delle prenotazioni, invece del mini Almodóvar (dura 30 minuti) abbiamo avuto in sorte le oltre quattro ore, con piccola pausa, di “Occupied City”, girato da Steve McQueen. Il regista di “Shame” e di “12 anni schiavo”, che sempre tradisce la sua provenienza dall’arte contemporanea. Amsterdam occupata dai nazisti, casa per casa – c’è in un mattoncino del memoriale il nome di Anna Frank, anzi Annelies. Fa da guida l’atlante di Bianca Stitger, consorte olandese del regista, e voce narrante. Centotrenta indirizzi, e per ognuno una storia tragica. Mentre il regista inquadra la vita di oggi, i ragazzini in skateboard, le manifestazioni contro il fascismo, le strade vuote per la pandemia, il coprifuoco per Covid e la campagna vaccinale. Stava succedendo all’inizio delle riprese, ma fa comunque un brutto effetto mettere insieme la stella gialla con i certificati medici. Qui si fabbricavano i documenti falsi, qui c’era un teatro per soli ebrei. Dice il regista di culto: “Non volevo fare un film lungo, volevo farlo giusto, il tema doveva trovare la sua forma”. Vista l’assenza di materiale d’archivio, un podcast avrebbe potuto fare al caso.
Era più promettente “Jeanne du Barry”, nata povera e illegittima (madre sarta, padre monaco) con il nome di Jeanne Bécu. Arriva a Versailles partendo dal nulla, creando scompiglio a corte. Non che fosse lo scopo, prima c’erano magnifiche collane di diamanti e la vita accanto a Re Luigi XV. Appena arrivata a palazzo, la visita medica con attrezzi da film di David Cronenberg, alla voce “strumenti ginecologici per donne mutanti” (nel film “Inseparabili”, titolo originale “Dead Ringers”, che proprio in questi giorni ha il suo remake seriale su Prime video).
Accertato che l’avventuriera è andata a letto con tanti uomini (bisogna pur campare) ma uno solo alla volta, viene presentata a Luigi XV, che come tutti i sovrani si annoia e cambia spesso amante. Jeanne, nel frattempo divenuta Contessa du Barry, resta. Si veste in abiti maschili per la caccia, guarda negli occhi il re, non impara mai i passettini in retromarcia per non voltare le spalle a sua maestà. La regista Maïwenn è totalmente identificata, fa cinema senza aver frequentato le scuole giuste e a 15 anni era fidanzata con Jean-Luc Besson. Johnny Depp è regale nella sua assenza di espressioni, ma ha firmato autografi e fatto selfie a non finire, rubando la scena a tutti.
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