I film della Pixar ridotti a bambinesco manifesto di civili comportamenti
“Elemental" nel primo fine settimana nei cinema è andato male. È, al solito, tecnicamente grandioso, ma viene subito a noia: troppa inclusione, Si sente la mancanza di Jonh Lasseter, travolto dal #MeToo per colpa di qualche abbraccio non gradito
Lei si chiama Brace Luminosa. Lui si chiama Guado Increspato, Non è una favola di qualche tradizione a noi ignota. E’ l’ultimo film della Pixar, che nel 2009 con “Up” di Pete Docter aveva commosso il Festival di Cannes, tutti con gli occhialini per il 3D (poi, incassi stratosferici). Anche “Elemental” era a Cannes, più per solidarietà cinefila e passati trionfi che per valore reale. Alla prova del botteghino americano il film è crollato: 29,5 milioni di dollari nel primo fine settimana – peggio nella storia della Pixar era riuscito a fare solo “Onward-Oltre la magia”: bruttino, uscì nei cinema il 6 marzo 2020.
I nomi li abbiamo tradotti noi, il doppiaggio italiano lascia gli originali. Ember è una fiamma che spesso si infuria, rischiando di incendiare chi le sta intorno; soprattutto il negozietto che un giorno sarà suo, quando imparerà a essere meno focosa. Wade è un bamboccione azzurro tutto acqua, che piange per un nonnulla come la sua aristocratica famiglia. C’è anche un fratello non binario, con fidanzata: sullo schermo sembrano più una coppia di lesbiche. Naturalmente i rampolli si innamorano, allo spettatore tocca la lunga marcia verso il contatto, mano rovente e mano liquida. Funzionerà?
Se pensate sia una vera domanda, non avete seguito i grandi progressi che la Disney, ora proprietaria della Pixar, sta facendo verso l’inclusione. “Soul” aveva un protagonista nero che suonava il jazz, d’accordo. Ma le animucce lassù in attesa di scendere sulla terra per incarnarsi erano tutte rigorosamente candide, quasi trasparenti.
Qui, nella città dei quattro elementi – fuoco, acqua, aria, terra, gli ultimi due per contorno e per gli intermezzi comici – si narra il romanzo familiare del regista, nato a New York da una famiglia di immigrati coreani. Ecco perché i genitori di Ember, che vendono dolcetti e altre chincaglierie, parlano con uno strano accento anche nel doppiaggio italiano. Il regista medesimo ha una moglie italiana, e dice con aria serissima che “Elemental” rispecchia questo scontro di culture e di pregiudizi. Sullo schermo, la famiglia di Wade pare più wasp, vecchia America con tavola apparecchiata, pettinature a crocchia, bicchieri e brocche preziose.
Inclusione inclusione, tutto è fatto nel nome dell’inclusione. Per non scontentare gli impiegati della ditta. A costo di far infuriare il governatore della Florida (e forse prossimo presidente americano) Ron DeSantis, anche lui discendente da immigrati italiani, ramo spietato: ha minacciato di togliere alla Disney i vantaggi fiscali di cui gode in Florida. Il pubblico ha gradito molto meno del solito: una volta i film della Pixar erano pura intelligenza. Ora sono un bambinesco manifesto di civili comportamenti. Tecnicamente grandiosi, ma dopo un po’ l’ammirazione per il fuoco cangiante (figuriamoci per i piagnoni con le lacrime a fontanella) viene a noia.
Si sente la mancanza di John Lasseter, travolto dal #MeToo per colpa di qualche abbraccio non gradito. Immaginate un bambino cresciuto guardando i disegni animati in tv, che ancora indossa camicie con i pupazzetti. I suoi pupazzetti: i giocattoli di Toy Story, il pesciolino Nemo, lo spazzino Wall-E, le emozioni litigiose di “Inside/Out”, che “Elemental” cerca di copiare, e invece arranca. Lui – se non l’avessero licenziato in tronco – avrebbe potuto fare di “Elemental” un gran film. Senza di lui, la nuova Pixar riesce a fare film deludenti anche su Buzz Lightyear: a chi interessa la vera storia, in animazione, di un personaggio che esiste soltanto in “Toy Story?” Il bambolotto aveva già capito con gran dolore di essere un giocattolo replicabile, non un vero astronauta.