la bomba o la bombola
“Oppenheimer” contro “Barbie”: il clima, l'angoscia della catastrofe e la fuga
Il duello cinematografico e culturale del momento. Non solo una competizione tra due film ma anche il contrasto tra tragedia e frivolezza, abisso e dolce vita, con la seconda usata spesso come antidoto alla prima
Il favoloso è che si desidera far conoscere tutto della terribile realtà del cambiamento climatico, al punto di spingere fino all’angoscia della catastrofe, come quella provata da Robert Oppenheimer di fronte alla bomba atomica, ma poi nei fatti si sceglie più spesso di disertare la lotta e rifugiarsi nel mondo fatato dei condizionatori e degli aerei, adottando il paradigma Barbie. Duello cinematografico del momento, forse anche dell’anno, “Oppenheimer” contro “Barbie” non è solo una competizione di un film contro un altro: è anche il contrasto dello spirito occidentale, tragedia e frivolezza, abisso e dolce vita, con la seconda usata spesso come antidoto alla prima. Usciti ieri in contemporanea in America e in Gran Bretagna (in Italia, invece, “Oppenheimer” uscirà il 23 agosto), il primo dei due film racconta il timore e le lacerazioni dello scienziato che inventò la bomba atomica di fronte al potenziale distruttivo della propria creatura, ed è diretto da Christopher Nolan. Mentre “Barbie”, di Greta Gerwig, narra la vita perfetta, benché non priva di complicazioni esistenziali, della bambola creata dalla Mattel.
Incasserà più la bomba o la bambola? E’ quello che si è chiesto l’Economist, nel tentativo di scorgere nel risultato anche un tratto del nostro tempo. Studiando i dati della storia del cinema, ha ipotizzato che in un frangente drammatico come quello che viviamo, dove il rischio dell’uso di armi atomiche esiste davvero in Ucraina, è probabile che gli spettatori sceglieranno di evadere dall’ansia della propria epoca anziché farsene tormentare. E sceglieranno “Barbie” più che “Oppenheimer”. Dramma e fuga: in fondo, non è quello che succede anche con il cambiamento climatico? Le campagne di sensibilizzazione alzano strategicamente l’allarme, ma poi sul campo chi è disposto a combattere? Così ieri su Repubblica Jeremy Rifkin diceva che “non c’è più tempo” da perdere in Italia. “Il Mediterraneo si sta surriscaldando a una velocità superiore al 20 per cento rispetto al resto del mondo” e che “l’ecosistema della regione avrà, entro il 2050, il 40 per cento in meno di precipitazioni nella stagione piovosa invernale e il 20 per cento in meno tra aprile e settembre”. Ma pur con la sciagura alle porte, la notizia è che a Roma la corrente elettrica è saltata per il sovraccarico dell’uso dei condizionatori, i più inquinanti tra gli elettrodomestici. Con il meraviglioso dettaglio che uno dei quartieri principalmente interessati dal black out è stato il Pigneto, la zona più de sinistra della città, presumibilmente da tempo al corrente degli allarmi che Rifkin va lanciando. Come Oppenheimer quando intuisce la potenza distruttiva della bomba, domenica in prima pagina anche il Monde si domandava: “Potremo ancora prendere l’aereo nel 2050?”, dato il significativo inquinamento prodotto dal sistema del trasporto aereo. La risposta l’ha data l’economista antropologo Diego Landivar, sostenendo la necessità di un cambio radicale delle abitudini. Ossia basta con l’idea che si possa volare senza limiti. In qualsiasi parte del mondo, e anche del proprio paese. Dobbiamo piuttosto immaginare la fine della comoda tratta Lamezia-Milano cantata da Brunori Sas e sapere che prenderemo l’aereo solo se indispensabile.
Ma, intanto, mai come in quest’estate di rivelazione climatica si registra un traffico così intenso nei cieli: 134.386 voli solo nella giornata del 6 luglio. Come se più si alzasse la soglia dell’incubo e più si fosse spinti a sfuggire. Non perché non si creda all’impronta umana nel cambiamento climatico (la maggioranza degli europei ormai la riconosce, dice un sondaggio di YouGov): ma perché sono “pochi” quelli disposti a fare qualcosa per contrastarlo. Così, pur straziati – come Oppenheimer di fronte alla bomba atomica – dalla percezione dell’imminente catastrofe climatica, si preferisce di gran lunga continuare a vivere come Barbie: in un mondo in cui si proclama solennemente il bene e il giusto, ma senza che si debba mai pagarne un prezzo per mostrare di essere disposti a realizzarlo.