Don't worry darling
La recensione del film di Olivia Wilde, con Florence Pugh, Chris Pine, Harry Styles, Olivia Wilde
Miracoli del concerto di Harry Styles a Campovolo, ultima tappa del lungo tour. Non solo il leggiadro giovanotto parla italiano, e dice correttamente “voglio che vi divertiate il più possibile”. Fa tornare nei cinema questo film diretto da Olivia Wilde, a suo tempo carico di pettegolezzi (la regista aveva un debole per Harry Styles, ex “One Direction”, alla Mostra di Venezia c’erano più fan urlanti per lui che per Timothée Chalamet) e battibecchi: l’attrice Florence Pugh non era a Venezia per la promozione. Olivia Wilde era la regista del molto divertente “Booksmart” (ammazzato, non c’è altro termine, dal distributore italiano che lo ha titolato: “La rivincita delle sfigate”). “Don’t Worry Darling” racconta una comunità in mezzo al deserto: casette con giardino, elettrodomestici, mobile bar, abiti anni 50. Potrebbe essere una sit-com: lui torna a casa e molla la valigetta, lei con il grembiulino da cucina sopra il vestito gli butta le braccia al collo. I mariti lavorano tutti nell’azienda che ha costruito il villaggio e la piscina. Non sono casalinghe disperate, Florence Pugh sorride sempre e alle cene serve caraffe di martini. L’unica stranezza sono pupille inquadrate da vicinissimo, che si rivelano ballerine in un musical di Busby Berkeley. C’è il trucco, certo. La felicità ha un prezzo. Comincia a dar segni di squilibrio la vicina di casa nera. L’ambiente è retrò, come la morale della favola.