Il giuramento di Pamfir
La recensione del libro di D. Sukholytkyy-Sobchuk, con O. Yatsentyuk, S. Potiak (nelle sale dal 10 agosto)
Emigrati. Dall’Ucraina alla Germania. Tanti anni, per mandare i soldi alla moglie Olena e al figlio Nazar, rimasti in Bucovina. L’azzeccato manifesto – un uomo che regge sulle spalle un edificio in fiamme – rende bene quel che succederà. L’inizio del declino, e di una quantità di guai a catena. Succede che Nazar, nullafacente (se parliamo di lavori legali che possano aiutare la famiglia) mandato a cantare nel coro e a fare qualche lavoretto in chiesa per tenersi occupato, incendia la chiesa medesima. Per non mandare Nazar in galera, e ripagare i cospicui danni, il padre si accolla i debiti. E ricomincia con il contrabbando, che il figlio già praticava verso la Romania. Oltre ai danni materiali, dentro la chiesa c’erano i documenti di Pamfir – fuggire non è un’opzione. Intanto si preparano le spaventose maschere e i costumi di pelliccia per il carnevale di Malanka, che ricorda – ce ne fosse bisogno da quelle parti – la natura animale dell’essere umano. Pamfir vuole assolutamente partecipare, mentre fa grandi passi per invischiarsi con la mafia locale. E’ il primo film di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk, girato dopo un documentario sul carnevale di Malanka – le maschere bestiali e diaboliche in primo piano sono davvero spaventose. Poco montaggio e lunghi piani sequenza, per accompagnare l’inevitabile disastro. Riprese cupe e notturne. E altre che ricordano i dipinti della tradizione ucraina.
Politicamente corretto e panettone