LA LUNGA CORSA

Mariarosa Mancuso

La recensione del film di Andrea Magnani, con Adriano Tardiolo, Barbora Bobulova, Stefano Cassetti

"Una commedia stralunata”, aggiunge il sottotitolo. A precisare che non vedremo gare di atletica, o fughe verso la libertà. Al contrario: Giacinto è nato e cresciuto in carcere, il primo pannolino glielo ha cambiato un agente di sicurezza. Quando è in età lo mandano a scuola dei preti, ma lui puntualmente riprende la strada del carcere. All’occasione, tirando un pugno a un poliziotto che in carcere con lo vuole riportare, “sei minorenne”. Ci riprova quando ha 18 anni, e fuori dal carcere non conosce nulla, non sa come muoversi o comportarsi. Finalmente danno una divisa anche a lui. La storia è raccontata per scenette, che sempre ritornano davanti alla porta del carcere, Giacinto di trova bene solo lì, le celle e le sbarre alle finestre sono l’unica sicurezza che ha avuto. E’ un piccolo film, esce in dodici copie e dovete cercarlo tra i blockbuster. Il regista è Andrea Magnani, che al Festival di Locarno nel 2017 aveva presentato - distinguendosi - “Easy - Un viaggio facile facile”. Tanto facile non era, se guariamo alla scrittura e alla regia. C’era da riportare al paese, lontano nei Balcani, il cadavere di un immigrato clandestino morto sul lavoro. I temi sono pesanti, lo stile è sempre leggero, e l’andamento spezzettato. La porta del carcere, a cui Giacinto suona per farsi aprire, la strada, la fermata dell’autobus scandiscono questo film di formazione. Le denunce sui minori in carcere stanno altrove. Giacinto voleva un rifugio, e lo ha trovato.