Venezia 2023
“Hit Man”, il film fuori concorso che avrebbe sbaragliato tutti gli altri
Alla Mostra del cinema, Il sicario di Richard Linklater avrebbe battuto perfino "Dogman" di Luc Besson. Pietro Castellitto invece ha azzeccato anche “Enea”, il suo secondo film
Evviva Richard Linklater, che ha dato una scossa alla Mostra del cinema con “Hit Man”, purtroppo fuori concorso. Avrebbe sbaragliato qualsiasi titolo, perfino “Dogman” di Luc Besson, finora il nostro preferito (il regista francese è stato contestato con Woody Allen e Roman Polanski, tutti assolti in tribunale ma per le femministe infuriate non conta). Hit Man è il sicario, che ammazza per conto terzi. Scovato dal regista in un articolo del Texas Monthly: un professore universitario di filosofia – cos’è il carattere? perché siamo come siamo? – che nei ritagli di tempo collabora con la polizia. Un giorno sostituisce un collega nel delicato compito di smascherare chi progetta di ammazzare il coniuge o altri nemici arruolando un sicario. Registra la conversazione, si fa dare la busta con i soldi, e il mandante smascherato finisce in galera. Il timido professore tira fuori grandi doti di trasformismo e filosofia pratica. Cambia pettinatura e abiti, finché si imbatte in una bella ragazza mora che vuole uccidere il marito violanti. Il perfetto meccanismo deliziosamente si inceppa, tra gli applausi a scena aperta.
Evviva Pietro Castellitto, che ha azzeccato anche il secondo film, “Enea”. Più ambizioso del primo, “I predatori”, che tre anni fa vinse il premio per la sceneggiatura nel concorso Orizzonti (uscita in sala guastata dal Covid). Anche più rischioso, ma con una bella sicurezza di scrittura e di regia. Si è guadagnato a 31 anni un posto in concorso, raro esempio di film italiano non rivolto al passato (vale anche per Stefano Sollima, che con “Adagio” sceglie il film di genere – constatazione, non giudizio di valore). Il presidente della giuria Damien Chazelle ne ha 38, ha vinto un Oscar a 32 anni per la sceneggiatura di “Whiplash”. Potrebbe apprezzare “Enea”: una madre che ascolta le parole registrate di un guru che la invita “a farsi lenzuolo”, un padre che di tanto in tanto si rifugia in una stanza d’albergo – dentro non lo aspetta una donna, solo mobili e specchi da sfasciare. Più che benestante, vuole fare qualcosa all’altezza del suo storico nome. Assieme all’amico aviatore, trasporta un carico di droga. Ogni scena ha un pungiglione, un dettaglio, un tocco surreale che tiene lontano il neo-neorealismo delle periferie.
“Il confine verde” è la foresta paludosa tra Bielorussia e Polonia. Tanto filo spinato per impedire l’ingresso ai migranti spinti da Aljaksandr Lukashenka verso l’Unione europea, ottenendo poi lo status di rifugiati. Diviso in capitoli, il film di Agnieska Holland segue il dramma di una famiglia di siriani, e di un’insegnante che arriva dall’Afghanistan. Arrivati in Bielorussia con l’aereo, passano sotto il filo spinato con donne e bambini, vengono intercettati dai polacchi e rimandati indietro. Ripassano il confine, e vengono di nuovo respinti, nonostante gli attivisti che rischiano l’arresto per sottrarli agli stenti e alle brutalità dei poliziotti. Ora ci sono i nuovi profughi dall’Ucraina e la regista chiede per tutti i morti un minuto di silenzio.
“Io leggevo solo Tex Willer, poi ho scoperto ‘Amleto’”, racconta Patrizia Cavalli nel film di Annalena Benini e Francesco Piccolo che coglie – nell’intervista e nelle immagini di repertorio – tutta la bravura, l’intelligenza e la giocosità dei poeti veri, all’opposto dei dilettanti lasciati dalla morosa. Titolo: “Le mie poesie non cambieranno il mondo” (esce il 14 settembre). Dice che la poesia “sorge”, e intanto la mano si muove come un serpente intorno al corpo. Canticchia, parla dei suoi amori sempre impossibili, e del meraviglioso momento, tra due persone, “quando una cosa è e non la fai avvenire”.