pop corn
Patagonia
La recensione del film di Simone Bozzelli, con Augusto Mario Russi, Andrea Fuorto, Alexander Benigni
Ogni tanto arriva un regista esordiente – si chiama Simone Bozzelli, classe 1994 – con lo sguardo giusto per il cinema (in questo caso, ottenuto dopo molti cortometraggi, gli studi alla Naba, Nuova accademia di Belle Arti e al Centro Sperimentale – ora in attesa di nomine). E’ lo sguardo che trova attori senza esperienza ma perfetti per il ruolo. Per esempio Augusto Mario Russi, che nel film fa Agostino, animatore alle feste dei bambini che in un camper si sposta di cittadina in cittadina. E’ lo sguardo poco interessato al proprio ombelico ma impegnato a raccontare una storia, con uno sfondo originale e tradizionale al tempo stesso, che qui sfiora il circo nella sua forma più misera (“con i bambini è più facile”, dice Agostino, che punta sul passaparola tra le mamme). Potrebbe valere anche per il timido ventenne Yuri: un ragazzino che vive con la zia, e altri soffocanti parenti (si incontrano al compleanno di un cugino piccolo). Sguardi di curiosità e poi sguardi affascinati, Yuri non ha mai visto capelli rossi e piercing. Non ha neppure mai sentito la parola “empatico”, che va a cercare sul telefonino della macellaia per cui tiene i conti. Agostino è la seduzione fatta saltimbanco, lancia occhiate assassine a Yuri e poi lo respinge, lo lascia per strada, lo accusa di non saper fare niente. Dopo ogni litigio, il sogno di andare insieme in Patagonia, luogo mitico per entrambi. Era al festival di Locarno, e non è neanche lento e solenne come sono i film degli esordienti.
Effetto nostalgia
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