Una scena di Babylon

NUOVO CINEMA MANCUSO

Da "Maestro" a "Barbie", fino a "C'è ancora domani" di Paola Cortellesi. I 10 film di questo Natale

Mariarosa Mancuso

In attesa degli Oscar di febbraio, e per smaltire in tranquillità i vari cenoni, ecco una lista di pellicole fatte apposta per la pausa natalizia

Durante il periodo di festa, per ripararsi dal freddo o per smaltire le svariate cene e pranzi natalizi, cosa c'è di meglio di un bel film? Ecco dieci consigli cinematografici – da vedere per la prima volta o da recuperare – per alcune delle migliori pellicole di questo 2024, in attesa degli Oscar di febbraio.

"Babylon" di Damien Chazelle, con Margot Robbie e Brad Pitt

 

Non esiste migliore inizio, per la lista degli eletti 2023. Racconta come tutto cominciò, quando Hollywood era un pezzo di terra con un bel clima e una luce strepitosa. Le attrici erano giovanissime, dopo i 20 anni nessuna poteva reggere la luce naturale. Il bellissimo e sfortunato film di Damien Chazelle – nato nel 1985, con “La la Land” si era imposto tra i giovani registi che amavano lo spettacolo, e incassavano premi – era troppo cinico. Troppo realistico per chi ancora pensa che il cinema sia nato dall’Arte, e non dai baracconi che esibivano stranezze, elefanti, donne barbute. Distruggeva un sogno, slegando il cinema dalla storia dell’arte; le avanguardie se ne approprieranno poi facendo solo danni. Il cinema – come dirà poi Dino Risi – è una bella ragazza come Margot Robbie e un giovanotto con la pistola (Brad Pitt, qui in mutande, calze al ginocchio e giarrettiere). Dalle feste con fiumi di alcol e ogni tipo di droga, dai comportamenti promiscui, dagli scandali, uscivano capolavori. “Babylon” di Chazelle ritrova questa magnifica (e ormai rara) energia.

"Licorice pizza" di Paul Thomas Anderson, con Cooper Hoffman e Alana Haim

 

Ivinili. Pizze di liquirizia. Sgombriamo l’ostacolo che ha tenuto gli spettatori lontani dal cinema. Neanche c’erano attori strepitosi, a un’occhiata distratta. A una meno distratta, c’era il debutto di Cooper Hoffman, figlio di Philip Seymour Hoffman, e la presenza Alana Haim, musicista e attrice. Lui è un ragazzino, lei l’assistente del fotografo allo scatto di fine anno. Lui la invita a cena, e le dice “Ti sposerò”, non gli importa la differenza di età. Spassoso il contro-invito, Alana nel film è figlia di un rabbino (fuori dal film, suona nel gruppo Haim con le sorelle Este e Danielle). Il giovanotto non è intraprendente solo in amore. Si mette a vendere materassi, e siccome siamo a Hollywood – dove Paul Thomas Anderson è cresciuto, ricavandone la vena di follia e la passione per il cinema – incrociamo un fidanzato di Barbra Streisand. Sean Penn e Bradley Cooper se la spassano in due piccoli ruoli. Ora sapete che c’è, che non morde, e che è un film molto divertente.

"Gli spiriti dell'isola" di Martin McDonagh, con Colin Farrell e Brendan Gleeson

 

"Fuckin’ Belgium Fuckin’ Bruges" vi dice qualcosa? E "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"? Gli spiriti dell’isola – remota come sono le isole d’Irlanda – sono le Banshees. Ignote allo spettatore che esce poco di casa, e non sa nulla della band "Siouxsie and The Banshees". Come i due protagonisti del film. Colin Farrell che porta il mulo al pascolo, poi va al pub con Brendan Gleeson. Il suo migliore e unico amico. Rimane malissimo quando Gleeson gli dice “non ti voglio più vedere”. Motivo sconosciuto, ogni tentativo di indagine finisce in niente. Niente più bevute al pub. Niente conversazioni smozzicate, dal sublime al ridicolo. I dialoghi di Martin McDonagh, in mezzo al nulla e sul nulla, sono capolavori (non è come a Ebbing, dove tutti attaccavano briga con tutti). Brendan pur di non vedere l’ex amico è pronto a tutto, perfino a mozzarsi un dito che gli servirebbe per suonare il violino. Black humour, di strepitosa qualità.

"Dogman" di Luc Besson, con Caleb Landry Jones

 

Ha lo stesso titolo del film di Matteo Garrone, che molti non hanno visto perché temevano che qualcuno facesse del male ai cani (no, facevano male agli umani, ai dobermann limavano le unghie). È un film totalmente diverso. Bellissimo. Per dire: non sembra neppure diretto da  Luc Besson. Con un attore strepitoso, che si chiama Caleb Landry Jones: somiglia a Philip Seymour Hoffman ed è bravo almeno quanto lui. Douglas, cresciuto in una famiglia di buzzurri che allevano cani da combattimento, i cani li abbraccia e li ama. Troppo, secondo la famiglia di villani in cui ha avuto la sfortuna di nascere. I cani servono per fare soldi. Se li abbracci e baci, finisci nella gabbia a mangiare con loro nella ciotola. Douglas scappa con la muta dietro, ormai ha le gambe malandate, trova un nascondiglio, dai cani si fa difendere. E mantenere: andranno nelle case dei ricchi passando per la gattaiola e gli porteranno tutto quel che luccica. Attaccheranno i cattivi dove fa più male. Settanta cani sul set, trovati con un casting di tre mesi. Con altrettanti addestratori, e un dobermann francese che voleva la macchina da presa tutta per sé.

"La zona di interesse" di Jonathan Glazer, con Sandra Huller

 

Due romanzi di Martin Amis conducono dove solo un romanziere può arrivare. “La freccia del tempo” inverte la direzione dell’Olocausto. I prigionieri emaciati si ristabiliscono, i denti d’oro tornano nelle mascelle. “La zona d’interesse” racconta la vita attorno al muro del campo di sterminio: Jonathan Glazer ne ha tratto questo film (nelle sale italiane a febbraio). Le giornate nella casetta con giardino dove abita la famiglia di Rudolf Höss, responsabile del campo di Auschwitz-Birkenau. Al fiume, sembra un normale picnic. Verso casa si sentono rumori e spari, poi l’ingegnere mostra i piani per il nuovo crematorio (stanno per arrivare i deportati ungheresi, dicono). Le cameriere apparecchiano e sparecchiano per colazioni e pranzi. Dal campo arriva una pelliccia che la padrona di casa fa riparare e mettere in guardaroba. Le macchine da presa sono fisse, una in ogni stanza, come in un reality. Siamo a una certa distanza dalle facce dei familiari e dei visitatori, indifferenti al filo spinato e alle torrette. Qualcuno in giardino tossisce per i fumi. Il ragazzino gioca in camera sua con una manciata di denti d’oro.

"Anatomia di una caduta" di Justine Triet, con Sandra Hüller, Swann Arlaud e Milo Machado Graner

 

Volete un doppio spettacolo con una grandissima attrice? L’altro film sarebbe “La zona di interesse” ma lo faranno uscire a febbraio. In “Anatomia di una caduta” di Justine Triet recita la superlativa Sandra Hüller (la moglie di Rudolf Höss nel film di Glazer). Nata in Germania Est, recita in tre lingue (è più complicato che parlarle). Qui siamo dalle parti di Grenoble, ove il marito l’ha condotta dopo il matrimonio, per ritrovare i più teneri ricordi d’infanzia (si erano conosciuti a Londra lui ha cominciato a essere stanziale da quando il suo lavoro si è inceppato). Prima scena: un’intervista disturbata dal consorte che nel suo studio in soffitta ha messo la musica a tutto volume. Fine dell’intervista, lei non si arrabbia troppo e va a fare una passeggiata. Torna, e il consorte giace cadavere sulla neve. Un malore, una spinta, un suicidio? Il figlio della coppia non vede tanto bene, il processo contro la moglie presunta assassina è un capolavoro di scrittura, perfidia e regia. Con galateo da scrittori sposati: “se tu butti le pagine nel cestino, io ho il diritto di usarle, se nel mio romanzo stanno benissimo”.

"Foglie al Vento" di Aki Kaurismaki, con Alma Poisty e Jussi Vatanen

 

È uscito nelle sale lo scorso giovedì. Per dire quanto i distributori tengono ai film comperati ai festival (questo era a Cannes, e il regista finlandese – sempre in zona Palme, Orsi, Leoni, vinse il gran premio della giuria). “Foglie al vento” esce adesso nelle sale. Sperando di attirare gli spettatori che cercano un film natalizio di nicchia – in Italia, in Francia ha attirato subito 600 mila spettatori. Scende la lacrimuccia e fa sentire più buoni. Con i poveri e il neorealismo, dicono. Sono anni che combattiamo contro l’idea di Kaurismaki neorealista, abbiamo perso la battaglia. Sì, ci sono gli operai e i disoccupati, i camerieri con un solo cliente da servire, ma la composizione delle immagini, i colori – slavati ma scelti accuratamente – i cani, e i tristissimi tanghi. Erano stati introdotti dal governo finlandese per allietare la popolazione dopo la guerra, ma lo spirito del luogo ha prevalso. Un operaio e una cassiera del supermercato si incontrano per caso. Lei gli scrive il numero di telefono. Lui perde il biglietto. Basta poco per un grande film.

"Mixed by Erry" di Sydney Sibilia, con Francesco di Leva e Luigi D’Oriano 

 

Un premio collettivo, a Sydney Sibilia e a quel che sta facendo per svecchiare il cinema italiano. Con questo film, e tre anni fa con “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”. Ci sono ancora storie da scovare, in Italia. E se incontrano un bravo regista, sceneggiatore, produttore, i risultati si vedono. Nastro d’Argento come miglior commedia, miglior scenografia, miglior casting director. Fa piacere che in Italia si comincino a riconoscere le professioni diverse da quelle del regista, ma altrettanto importanti. Basta confrontare la Napoli candeggiata di Saverio Costanzo in “L’amica geniale” di Elena Ferrante (chiunque essa sia) e la Napoli, quartiere Forcella, di questo film. Erry vuole fare il DJ, intanto si accontenta di mixare audiocassette con i successi del momento, adattandole ai gusti degli amici. Educandoli anche, con brani che arrivano da fuori. Non poteva durare.

"Barbie" di Greta Gerwig e "C'è ancora domani" di Paola Cortellesi, con Emanuela Fanelli

 

Non li mettiamo insieme perché son diretti da donne. Neanche perché “sulla carta” erano film complicati e rischiosi, nelle loro differenze. Un film italiano in bianco e nero modello neorealismo (con forte messaggio femminista). Un film americano in tutti i toni del rosa, sulla bambola più criticata del mondo perché modaiola e diseducativa: alle bambine bisognerebbe regalare i ciccibelli così imparano il mestiere di mamma (anche qui, con forte messaggio femminista). Perché dimostrano che le donne sanno fare tutto, anche i film che incassano. Basta tenerle lontane da imbarazzanti supereroine - non guardate “The Marvels”, è proprio brutto. Incassi, al momento attuale: Paola Cortellesi ha superato i 30 milioni, bella comoda tra i primi 10 incassi italiani. Sicuramente ha ancora un bel potenziale, a giudicare da chi chiede “Com’è? Non l’ho visto”. È la sindrome italiana: non leggere i libri in classifica (chissà mai li farà andare, in classifica?) e non andare a vedere i film che incassano. “Sentirsi unici”, e cercare al supermercato il sale rosa dell’Himalaya.

"Maestro" di Bradley Cooper, con Bradley Cooper, Carey Mulligan

 

Chiudiamo con un grandissimo film, pieno di energia con le splendide musiche composte da Leonard Bernstein. La sua prima direzione d’orchestra, quando gli dicono che sostituirà Bruno Walter alla direzione della New York Philharmonic. Salta fuori dal letto e in una sequenza frenetica raggiunge la Carnegie Hall, prende la bacchetta: il primo di tanti clamorosi successi. Non è l’unica scena spettacolare, Bradley Cooper è un bravo regista, anche quando non duetta teneramente con Lady Gaga su un copione collaudato come “È nata una stella”. Anche un corteggiamento su un prato ha la sua idea di regia (benedetti i registi che fanno il loro mestiere). Si vede su Netflix, dal 20 dicembre: la piattaforma può sempre proporre  brutti film, ora che attorno a lei si moltiplicano i concorrenti. È anche la storia di un matrimonio, di molti tradimenti e di una travolgente passione per la musica. Tutta la musica: classica, per il cinema, per Broadway, per i bambini.

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