A Los Angeles
Partite alla pari con i maschi, ai Golden Globe le femmine restano indietro
“Barbie” di Greta Gerwig aveva dieci candidature, "Oppenheimer" otto. Ma alla fine, mentre Christopher Nolan ha ottenuto ben cinque premi, la regista americana ha portato a casa solo due statuette
Maschi e femmine partono alla pari, poi le donne rimangono indietro. Come nel didascalico spot della Tim diretto da Giuseppe Tornatore (vien da dire però che in qualsiasi percorso, scalata, o labirinto, i tacchi a spillo impicciano: insinuare che non sanno scegliere le scarpe adatte offende le signore). “Barbie” di Greta Gerwig aveva ai Golden Globe dieci candidature – siamo al livello di un film come “Cabaret” diretto da Bob Fosse – e pure lei, quando va nel mondo, sceglie sandali piatti da fraticello. “Oppenheimer” di candidature ne aveva otto, spiccavano il regista e protagonista Cillian Murphy.
È finita con “Barbie” che porta a casa il nuovo Golden Globe di quest’anno – “Cinematic and box office achievement”: gli incassi non disgiunti dalla qualità. Parliamo di un miliardo e 440 milioni di dollari, e di un film che ha riportato il pubblico al cinema. In testa alla classifica del 2023, le è toccato solo un altro Golden Globe per per il miglior brano musicale. È il caso di tirare fuori la vecchia, e sempre attuale, battuta hollywoodiana: “La regista piangerà tutto il tempo andando verso la banca”. Per fare un confronto: Martin Scorsese con “The Killers of Flower Moon” ha portato a casa 156 milioni di dollari in totale, e i Golden Globe hanno premiato Lily Gladstone: vittoria storica, cresciuta nella riserva dei Piedi Neri, nel film esibisce un guardaroba di mantelli-coperta multicolori. La bomba atomica ha sfiorato il miliardo di incasso, e ha vinto cinque Golden Globe – l’attore Cillian Murphy, premiato come protagonista, ha ricordato il rigore del regista Christopher Nolan: sul set non c’è neppure una sedia per gli attori che volessero – orrore! – riposare.
La Foreign Press Association che nel 1943 aveva fondato il premio della stampa estera, crollata sotto il peso di scandali finanziari, etici, e di scarsa inclusività, non esiste più. Ora il marchio è stato comprato da Dick Clark Productions & Eldridge, con l’intenzione di istituire una Golden Globe Foundation, e proseguire le opere di beneficenza. Inclusiva, si spera. Hanno allargato la cerchia dei votanti, ma i risultati non si vedono. I premi i quest’anno sono bianchi, se non bianchissimi. Eccezioni: Da’vine Joy Randolph, l’attrice nera di “Holdovers”, il nuovo film di Alexander Payne (uscirà in Italia il 18 gennaio, tra gli attori Paul Giamatti: un professore costretto a trascorrere al college tutte le vacanze, per via di un allievo che non ha casa). E Ayo Edibiri, che nella magnifica serie ” The Bear” ruba la scena a Jeremy Alan White, chef pieno di sogni costretto a mandare avanti la panineria di famiglia (era l’inizio, a furia di rifiutare gli spaghetti avvia un suo nuovo ristorante). Si va verso l’oriente co Steven Yeun (di origine coreana), e Ali Wong (di madre vietnamita) in “The Beef-Lo scontro”, altra balla serie premiata.
Il Golden Globe come migliore attrice è andato alla biondissima dagli occhi azzurrissimi Emma Stone, nel film “Povere creature” del greco Yorgo Lanthimos. Si è innamorato dell’Inghilterra vittoriana, e regala all’attrice il ruolo strepitoso di una donna con il cervello di un neonato. Deve imparare tutto, a camminare e a comportarsi da fanciulla perbene in società (il primo compito riesce meglio del secondo). Inappuntabile il premio a “Succession” di Jesse Armstrong e ai suoi attori, purtroppo alla quinta e ultima stagione. Quando non trovate niente di nuovo, rivedere qualche episodio – o una stagione intera – conferma che gli showrunner bravi esistono. Justine Triet raddoppia il premio di Cannes, vincendo con “Anatomia di una caduta” il Golden Globe per il miglior film straniero.
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