gloria o incassi?
“Io capitano” agli Oscar ce la può fare, per una volta non hanno scelto film incomprensibili
La pellicola di Garrone è in corsa nella categoria film stranieri. “Oppenheimer” di Christopher Nolan guida la classifica delle nomination, ne ha tredici. Segue “Povere creature” di Yorgo Lanthimos con undici. Intanto a Ken è andata meglio di Barbie
I grandi incassi o la gloria? Il dilemma tormenta i registi e i loro produttori (in misura minore gli scrittori, in fondo hanno bisogno solo di un computer e di un editore – neanche sempre, oggi). “Io capitano” di Matteo Garrone è costato undici milioni di euro, in sala ha incassato 4 milioni, attirando ottocentomila spettatori circa. Non moltissimi se pensiamo all’attualità del tema, dai litigi tra forze politiche alle chiacchiere da bar. Parecchi se pensiamo all’audacia del regista: era quasi tutto parlato in wolof. Per un confronto: il campione d’incassi italiano – “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi – riporta gli spettatori al sol dell’avvenire datato 1946.
Il viaggio avventuroso e assai periglioso di due ragazzi dal Senegal verso le coste italiane meritava più attenzione – e forse anche una sforbiciata. La si sarebbe potuta dare anche dopo il Leone d’argento per la regia a Venezia e l’ingiusta preferenza per uno solo dei due attori senegalesi alla prima prova. Coppa Mastroianni solo a Seydou Sarr, ancora non abbiamo capito perché.
Ora il film è in corsa per l’Oscar. I rivali nella categoria film stranieri sono “Perfect Days” di Wim Wenders, che ha superato ieri i tre milioni d’incasso in Italia. Niente male, per una maratona di pulizia dei gabinetti pubblici a Tokyo. C’è “La società della neve” di J. A. Bayona (leggi: i sopravvissuti delle Ande). I due film che celebrano la strepitosa paura dell’attrice Sandra Hüller, candidata per “Anatomia di una caduta” di Justine Triet (moglie di successo con un marito in crisi) e non per “The Zone of Interest” di Jonathan Glazer (dove è la moglie di Rudolf Höss: vivono in una casetta con giardino accanto al campo Auschwitz). Ci sono possibilità, la candidatura di Garrone indica che non vengono prese in considerazione solo le biografie e i film in costume. E per una volta non è stato scelto un film che già a Chiasso faticano a capirlo.
“Oppenheimer” di Christopher Nolan guida la classifica delle nomination – come se tutti fossimo appassionati alle vite dei fisici che fabbricarono l’atomica. Tredici, seguito da “Povere creature” di Yorgo Lanthimos che ne ha undici. Nella sua “nuova maniera”, dimenticate certe storie incomprensibili, il regista greco si è innamorato della cultura britannica. Prima girando “La favorita”, ai tempi della regina Anna (che non gradì una scena dei “Viaggi di Gulliver”: nel paese dei minuscoli lillipuziani l’incendio della sua reggia veniva spento con una copiosa pisciata). Ora con la signorina Frankenstein di “Povere creature”, la magnifica Emma Stone che comincia con i passi incerti di un neonato, impara a parlare, e fugge con il primo uomo che le piace in città di cartapesta.
Marin Scorsese con “Killers of the Flowers Moon” di candidature ne ha dieci. Una per l’attrice Lily Gladstone, prima nativa americana agli Oscar. Più “colorato” il panorama dai candidati come miglior attore. C’è Colman Domingo, nel film “Rustin”: l’attivista Bayard Rustin che contribuì all’organizzazione della grande Marcia su Washington del 1963, presidente JFK. Quando Martin Luther King disse “I have a dream”. E c’è Jeffrey Wright, protagonista di “American Fiction”, regista Cord Jefferson. Magari non “il film definitivo sull’editoria”, come abbiamo letto, ma un bel film sull’editoria di oggi. Quando un nero deve scrivere “della sua infanzia schifa” nel ghetto. Niente altro, sarebbe appropriazione culturale. Vale per gli Stati Uniti. Da noi vanno piuttosto le donne vittime. A proposito: “Barbie” ha incassato molto, ma né la regista Greta Gerwig né l’attrice Margot Robbie sono state considerate. E’ candidato invece Ryan Gosling: la rivincita di Ken.
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