Ad Hollywood
S'insiste per un seguito di "Erasure" con Annie Ernaux come bersaglio
Il romanzo da cui è stato tratto il film "american fiction", che si regge sulla rabbia che uno scrittore nero colto e sperimentale prova verso i racconti di vita disgraziata
“Abbiamo girato il film in 25 giorni, più uno per il montaggio. Con un budget equivalente a quello che i nostri rivali all’Oscar hanno speso per snack e bibite” (catering escluso, quindi). Fierissimo del lavoro svolto, e della candidatura come migliore attore – nonché “miglior film” tra giganti di grande incasso – Jeffrey Wright racconta al New York Times le condizioni di lavoro sul set di “American Fiction”. Con la regia di Cord Jefferson, che ha avuto una candidatura per il miglior copione non originale, adattando il romanzo di Percival Everett intitolato “Erasure”.
Non si hanno mai troppi libri, a dispetto di Franca Valeri che in “Parigi, o cara” li considerava “veicoli di polvere”. Certo che lo sono, ma scavando scavando – Percival Everett non è stato mai uno dei nostri preferiti – è tornata fuori l’edizione italiana del romanzo. Edito da Instar Libri nel 2007, era intitolato “Cancellazione”. In copertina, l’immagine di un testo cancellato con grosse righe nere.
“Le storie che hanno per protagonista uno scrittore non le ho mai sopportate” dice il protagonista Thelenious Ellison, detto Monk. Neanche noi a dire il vero, ma siccome la letteratura ha tanti nemici all’orizzonte – e siccome abbiamo apprezzato il film “American Fiction”, ancora senza una data di uscita italiana – i pregiudizi nostri per un po’ li abbiamo messi a tacere.
Per sprofondare nei pregiudizi dell’editoria. Primo fra tutti, uno scrittore nero come Monk deve scrivere da nero: sgrammaticato, senza sintassi né punteggiatura, con formule come “in da ghetto” (ricordate Ali G Indahouse di Sacha Baron Cohen, bianco britannico che si veste e parla come un nero di strada?). Argomenti consentiti: miseria, tuguri, violenze domestiche. Come in “Push-La storia di Precious Jones” di Sapphire: una sedicenne violentata dal padre da quando aveva sette anni, due volte incinta, semi-analfabeta. Non sappiamo se Percival Everett aveva il successo di “Push” in mente, quando nel 2001 scriveva “Cancellazione” – ma il romanzo si regge sulla rabbia che uno scrittore nero colto e sperimentale prova verso i racconti di vita disgraziata.
Monk, la sua controfigura letteraria, va a un convegno di letterati con una relazione su “S/Z” di Roland Barthes. Il Barthes più ostico, che smonta un racconto di Balzac – “Sarrasine” – riga per riga. Tra strutturalismo e post strutturalismo, dicono (chi ha amato il racconto, che parla di seduzione, rischia la crisi di nervi). Non sembra neanche lo stesso Barthes del “Piacere del testo”. Applausi pochini. Il colpo fatale arriva dalla lirica recensione che una rivista riserva a Juanita Mae Jenkins, “capolavoro della letteratura afroamericana”. E quindi: tre figli da tre padri, a quindici anni, madre drogata, fratello Juneboy ritardato mentale, ferito in uno scontro tra gang,
Nel film, Juanita Mae Jenkins somiglia piuttosto ad Amanda Gorman, la poetessa di Joe Biden vestita in giallo Prada. Anche Monk ha scritto un romanzo, ma l’editore è meno entusiasta: “Troppo difficile per il mercato. Ma dai, un romanzo in cui Aristofane ed Euripide uccidono un drammaturgo più giovane e talentuoso, e poi contemplano la morte della metafisica!”.
Furioso, Monk sceglie uno pseudonimo e scrive il suo romanzo “all black”. Dal ghetto, protagonista Van Go Jenkins di anni 19: “Ma’ ci guarda e ci chiama feccia umana. Io non so cosa vuol dire, ma schizzo dalla sedia piglio un coltello da cucina. E la buco. E la buco ancora”. Pensa di ridicolizzare quel tipo di scrittore, e l’editoria che lo coltiva. Invece ha successo (con i soldi riesce a curare perfino la mamma malata). Insistiamo per un seguito, con Annie Ernaux come bersaglio.